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Ahi serva Italia, di dolore ostello: parafrasi e significato

Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello! È la celebre, sdegnata e amara invettiva contro la corruzione dell’Italia pronunciata da Dante Alighieri nel canto VI del Purgatorio della Divina Commedia, ai vv. 76-78, dopo l’abbraccio tra Virgilio e Sordello da Goito, nato dal solo fatto di essere entrambi mantovani (non si erano mai conosciuti).

Ahi serva Italia… parafrasi

La parafrasi è questa: Ahimè Italia (diventata ormai) schiava (serva), sede di dolore (ostello), nave senza timoniere (nocchiere) in una grande tempesta, non più signora (donna) delle province (dell’Impero romano), ma prostituta (bordello)!

Ahi serva Italia: l’invettiva politica di Dante – significato

Dante contrappone il passato imperiale dell’Italia, che sotto Roma era signora di innumerevoli province, a un presente di frammentazione politica e di degradazione morale.

L’Italia, definita “donna di bordello”, che si offre ormai a chi la vuole, è travagliata da continue lotte intestine, che hanno vanificato la grande opera legislativa dell’imperatore Giustiniano (che Dante collocherà nel VI canto del Paradiso), in balia dei violenti e degli arroganti che possono imporre le loro volontà, perché l’imperatore Alberto I d’Austria (1248-1308) si disinteressa della politica e dei rapporti di forza in Italia.

Il poeta si augura che il giudizio divino colpisca duramente l’imperatore e i discendenti, perché il successore ne abbia timore (in realtà gli succederà Enrico VII di Lussemburgo, nel quale Dante ha riposto tutte le sue speranze e al quale ha preparato, mentre era ancora vivo, un seggio nel Paradiso).

Colpevole è anche la corrotta Chiesa – sentenzia Dante – perché non si è dedicata esclusivamente all’aspetto spirituale, contendendo l’autorità all’Impero. Per Dante il potere temporale dell’Impero e il potere spirituale del Papato devono restare separati: è questa una delle ragioni per le quali Dante detesta papa Bonifacio VIII, che si intrometteva nelle vicende politiche del suo tempo.

A conclusione dell’invettiva politica contro i signori d’Italia, la Chiesa, l’imperatore e lo stesso Dio (che sembra essersi dimenticato dell’Italia), lo sguardo di Dante ritorna alla sua città natale Firenze, la sua città che lo aveva mandato in esilio e in cui si concentrano tutti i mali: con sarcasmo, il poeta denuncia l’ambizione, l’avidità, l’inciviltà, la fragilità della sua politica e della sua gente corrotta.

Il poeta paragona la condizione di Firenze a un’inferna che nel letto, col cambiare posizione, cerca sollievo al suo dolore, invece di iniziare una cura e dunque difficilmente potrà migliorare. Così si conclude l’invettiva di Dante contro l’Italia e contro Firenze e così si conclude il canto VI (sesto) del Purgatorio.

 

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