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Le leggi Giulie emanate dall’imperatore Augusto

Le leggi Giulie emanate dall’imperatore Augusto tra il 18 a.C. e il 9 d.C. miravano a rafforzare l’istituzione familiare, incentivando il matrimonio e la procreazione. Si tratta della lex Iulia de maritandis ordinibus del 18 a.C., poi integrata dalla lex Papia Poppaea del 9 d.C., e della lex Iulia de adulteriis coercendis del 17-16 a.C.

Qual era lo scopo delle leggi Giulie emanate da Ottaviano Augusto?

Con le Leggi Giulie che l’imperatore Augusto, a partire dal 18 a.C., in forza della sua tribunicia potestas, aveva fatto votare, si proponeva da un lato di contrastare il reale e serio problema sociale rappresentato da una forte denatalità, dall’altro di moralizzare la vita dei suoi sudditi e in particolare delle donne, al cui malcostume sessuale, come tutti i moralisti, attribuiva la crisi della natalità.

Lex Iulia de maritandis ordinibus e lex Papia Poppaea

La lex Iulia de maritandis ordinibus del 18 a.C., poi integrata dalla lex Papia Poppaea del 9 d.C. stabilivano che tutti gli uomini tra i 25 e i 60 anni e tutte le donne tra i 20 e i 50 anni dovessero contrarre matrimonio. Tale disposizione valeva anche per le persone vedove e divorziate, col solo limite per le donne del cosiddetto tempus iugendi (periodo di lutto) che la lex Papia Poppaea fissò in 10 mesi dalla morte del marito. Con esso si voleva evitare l’incertezza circa la paternità del figlio nato dalla donna passata a nuove nozze.

Chi non si sposava (o risposava) era punito con la perdita della capacità di ricevere eredità e altre disposizioni testamentarie. Inoltre le persone sposate senza figli potevano ricevere per testamento soltanto la metà di quanto era stato loro destinato. Come ulteriore incentivo alla procreazione, le donne che avevano partorito tre figli, se nate libere, o quattro se liberte (nate schiave e poi liberate), venivano esentate dalla tutela, cui le donne erano sottoposte a vita, ottenendo così piena capacità di disporre dei propri beni.

Lex Iulia de adulteriis coercendis

Per completare l’opera, una terza legge, la lex Iulia de adulteriis coercendis, cioè la legge Giulia sugli adulteri, proposta dall’imperatore Augusto e approvata tra il 17 e il 16 a.C., trasformò in reato l’adulterio della donna. A Roma infatti solo la donna commetteva adulterio se aveva rapporti con un uomo diverso dal coniuge, mentre il marito poteva unirsi impunemente ad altre donne. Le adultere potevano essere accusate non solo dai familiari, ma da qualunque cittadino romano.

Nei secoli precedenti le donne venivano punite in casa a titolo di vendetta privata o in seguito a un giudizio domestico, talvolta anche con la morte. Ora la trasformazione in reato dell’adulterio femminile fece sì che, se trovate colpevoli in un processo, le adultere fossero condannate alla relegatio (allontanamento temporaneo in un’isola o luogo isolato) e alla confisca della metà della dote e della terza parte dei suoi beni. L’uomo invece era punito con la confisca della metà del patrimonio e con la relegazione.

La lex Iulia de adulteriis coercendis assegnava inoltre al padre dell’adultera il diritto di uccidere la figlia considerata adultera, pur con delle limitazioni. Precisamente: il padre poteva uccidere la figlia solo se l’avesse colta in flagrante con l’amante, a condizione che ammazzasse entrambi gli amanti in preda a un’ira incontrollabile. Il padre non poteva quindi uccidere la figlia e l’amante a freddo, ma era autorizzato a farlo solo se in preda a un forte turbamento emotivo, provocato dall’offesa all’onore. E doveva uccidere tutti e due o non poteva uccidere nessuno.

Il marito invece non poteva uccidere la moglie ma solo l’amante, a condizione che lo sorprendesse in flagranza e solo se questi era di umile condizione (schiavo, gladiatore, danzatore ecc.). Doveva inoltre divorziare dalla moglie per non incorrere in un’accusa di lenocinio (il reato commesso da chi costringeva o induceva alla prostituzione, o anche solo agevolava la prostituzione).

Nel 2 a.C. Giulia, la figlia dell’imperatore Augusto, la cui condotta forniva argomento di pubblico scandalo a Roma, fu colpita con un severissimo confino dal padre in ossequio alla sua stessa legge. Venne relegata sull’isola di Pandataria, l’odierna Ventotene.

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