Il 22 giugno 1941 Hitler invade la Russia (“Operazione Barbarossa”, il nome in codice dell’invasione nazista dell’Unione Sovietica). Più tardi vi si unì anche un corpo di spedizione italiano, l’Armir (Armata Italiana in Russia).
Le truppe tedesche inizialmente avanzarono con precisione e velocità; intanto le SS fucilavano tutti gli ebrei e tutti i funzionari comunisti, mentre la gente comune veniva resa schiava e obbligata a lavorare per il Reich. Ogni atto di ribellione causava la morte per rappresaglia di un numero incredibile di civili: a Kiev in un solo giorno furono massacrate 34 000 persone inermi. Questo era il “Nuovo Ordine” che Hitler imponeva ai territori slavi conquistati.
La Russia reagì: Stalin fece appello alla “grande guerra sociale e patriottica” e soprattutto confidò nello sconfinato spirito di sacrificio del popolo russo. Così, mentre al Fronte i soldati russi combattevano, dietro le linee vecchi, donne e bambini organizzarono una guerriglia partigiana che non diede mai tregua al nemico.
Il piano di Hitler prevedeva l’avanzata di tre colonne ognuna delle quali aveva l’obiettivo di prendere una delle tre maggiori città: Leningrado, Mosca e Stalingrado. Invece, colti dall’inverno russo e dal contrattacco sovietico, per tutto il 1942 i soldati del Führer non riuscirono a percorrere neanche uno dei pochi chilometri che li separavano da Mosca e Leningrado; anche a Stalingrado rimasero imbottigliati per mesi alla periferia della città senza riuscire a espugnarla.
Complessivamente dal 19 novembre 1942 al 2 febbraio 1943, l’Armata Rossa distrusse quasi 70 divisione dell’Asse (circa 30 tedesche, 15 rumene, 10 italiane, 10 ungheresi) per un totale di oltre 1 milione di soldati, tra cui quasi 400 mila prigionieri.
Le truppe italo-tedesche, inseguite da quelle russe, iniziarono una drammatica ritirata che si risolse in una strage: era il febbraio del 1943 e la temperatura toccava i 45 gradi sotto lo zero. Gli Italiani portavano scarponi alpini di cuoio che a quelle temperature si irrigidivano come pietre; le armi risalivano alla Prima Guerra Mondiale; disponevano di autocarri per non più di metà delle truppe e non avevano riserve di cibo. Dei 229 000 uomini italiani inviati al massacro in Russia, 29 690 furono feriti o colpiti da congelamento; i morti furono 74 800.