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La nobiltà del lavoro: dall’antichità ad oggi

La nobiltà del lavoro: come è cambiato il concetto di lavoro nel corso della storia? Come viene considerato il lavoro oggi?

Il lavoro nell’antichità

Nella cultura greca e in quella romana, il lavoro manuale era destinato agli strati più bassi della popolazione ed era considerato indice di asservimento e di dipendenza; inoltre costituiva oggetto di disprezzo in sé e nei confronti di chi lo svolgeva. Le attività che nobilitavano l’essere umano erano considerate quelle intellettuali, mentre l’uso delle mani per procacciarsi il sostentamento era visto come un segno di inferiorità: per cui contadini, artigiani e commercianti appartenevano «naturalmente» a categorie socialmente subordinate.

La nobiltà del lavoro nel Medioevo

Il cristianesimo rivaluta certamente il lavoro, senza però esaltarlo; giudica il lavoro attività necessaria, ma inferiore. È vero che «ora et labora» è stata la regola del monachesimo benedettino, ma è anche vero che non bisogna invertire l’ordine dei valori, «subordinando gli interessi superiori di Dio ai particolari e materiali interessi dell’uomo» (Agostino). Entro questi limiti anche san Tommaso giudica positivamente il lavoro, che egli considera solo legittimo fondamento del guadagno e della proprietà. Ma ricalca Aristotele quando sostiene che il lavorare non contribuisce alla “formazione” di chi lavora.
Nel Medioevo insomma il lavoro acquista dignità, però è ancora lontano dall’assumere un ruolo centrale nel destino dell’uomo.

La nobiltà del lavoro nel Rinascimento e nella Riforma protestante

Esaltano in maniera esplicita il lavoro Leonardo da Vinci (1452-1519) e Leon Battista Alberti (1404-1472), per il quale il lavoro «riempie così bene il lento scorrere delle ore».
Ficino (1433-1499) presenta l’uomo «in certo qual modo un Dio», signore delle cose della materia, «poiché, tutte, egli le lavora, le cambia e le trasforma».

Ma il contributo determinante viene dalla Riforma protestante, da Lutero (1483-1546), per il quale l’ozio è evasione peccaminosa, la vita monastica è scelta egoistica di chi sfugge ai propri doveri verso il prossimo, e soprattutto da Calvino.
Per Calvino (1509-1564) ogni uomo è “strumento” della divina Provvidenza. L’operare razionale, metodico e instancabile consente di migliorare la propria posizione sociale; crescita e accumulazione diventano segni della benevolenza divina.

Il Rinascimento e la Riforma sono all’origine di due valutazioni sul lavoro che percorreranno poi tutto il pensiero moderno. Una esalta la creatività del lavoro, al quale è riconosciuto un valore intrinseco. L’altra, che ha matrici religiose, considera il lavoro come castigo e strumento di riscatto e ha ricompense di natura religiosa. La prima ha risvolti estetici, perché suggerisce un rapporto di gioco con la natura. La seconda alimenterà il pensiero borghese: il lavoro non vale per sé, ma per i risultati che arreca; esso è cosa dura, a cui però bisogna votarsi, perchè è fonte di virtù e di profitto.

Il concetto di lavoro nel Seicento

Finalmente, nel Seicento, la Rivoluzione scientifica, le innovazioni tecniche e la loro applicazione in campo economico e civile rendono l’uomo consapevole della propria capacità di trasformazione della natura. L’uomo acquista fiducia in sé, nel suo lavoro, grazie al quale può costruirsi un futuro.

Il lavoro nel Settecento

Nel Settecento, l’Età dei Lumi, le arti meccaniche non vengono più viste come degradanti ed abiette.

Il lavoro nell’Ottocento

L’Ottocento sarà «pel concetto di lavoro, il gran secolo, il secolo d’oro. Esso vede il trionfo del lavoro umano […]. Sempre più grandeggia d’importanza e di significato, sempre di più subordina a sé gli altri concetti e divora quelli rivali per finalmente assurgere alla dignità di concetto-chiave di tutta una visione del mondo e della vita» (A. Tilgher, Homo Faber).
È quindi solo nel secondo Ottocento, in Europa, che si è giunti ad attribuire il giusto valore alle diverse attività occupazionali e a riconoscere la dignità di tutti i lavoratori.

Il lavoro oggi in Italia

Oggi il lavoro è un diritto fondamentale e l’idea del lavoro come punizione, fatica e dolore si è radicalmente trasformata nella convinzione che esso è fonte di ricchezza, di valore e di libertà.
Questa rivoluzione è testimoniata in Italia dalla nostra Costituzione.
Nell’articolo 1 si dichiara che «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro» e nell’articolo 4 che la «Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società».

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