Il concetto di libertà religiosa nacque con i culti ebraici e la predicazione dei primi ciristiani: il carattere esclusivista di queste due religioni monoteiste fu percepito dalle autorità romane come una minaccia per l’ordine pubblico, e per questo entrambe vennero duramente perseguitate.
Per risolvere la questione cristiana Costantino emanò l’editto di Milano (313), che riconosceva il cristianesimo come religio licita, ammettendola accanto ai culti tradizionali.
Negli anni successivi, dall’editto di Tessalonica (380) fino al Medioevo, il cristianesimo si impose come unica religione accettata e pressoché obbligatoria per tutti i membri della comunità. Per molti secoli, le campagne contro infedeli ed eretici furono il motore della storia politica e culturale dell’Occidente: «Un re, una legge, una fede», fu per secoli il principio alla base del diritto pubblico europeo.
A scuotere questo sistema e a rappresentare una svolta determinante fu la Riforma protestante, che nel XIV secolo mise in crisi l’unità religiosa europea.
Per uscire dallo stato di crisi aperto dalle guerre di religione in Francia, Inghilterra e Germania presero poi avvio i movimenti riformatori che sostenevano il principio della tolleranza religiosa. Le spinte principali arrivarono da umanisti come Erasmo da Rotterdam e Tommaso Moro, o da eretici come Sebastiano Castellione. Essi, partendo dal principio della libertà di coscienza, contestavano la possibilità di imporre un credo attraverso la violenza.
Allo stesso tempo era anche la ragion di Stato a suggerire la pace religiosa. Il partito dei politiques, attivo in Francia durante le guerre di religione, per esempio, riteneva che per uscire da quella situazione fosse necessario confinare le religioni nella sfera del privato, mentre la politica aveva il compito di costituire il fondamento della vita pubblica.
Spinto da queste argomentazioni il re di Francia Enrico IV (1553-1610) emise nel 1598 l’editto di Nantes, che concedeva la libertà religiosa agli ugonotti. Provvedimenti simili a quello di Enrico IV si ebbero in Inghilterra (Toleration Act, 1689), nell’Impero asburgico (editto di tolleranza, 1781), e poi ancora in Francia nel 1787 quando ebbero termine le persecuzioni avviate da Luigi XIV nel 1685.
Le monarchie d’Europa restavano regni confessionali, con una religione ufficiale, ma progressivamente aumentava la tolleranza verso altre religioni, ossia, se ne ammetteva legalmente la presenza nei confini dello Stato.
Furono le rivoluzioni del Settecento a condurre a una svolta più sostanziale. I testi costituzionali e le dichiarazioni rivoluzionarie consideravano infatti la libertà religiosa un diritto dell’individuo, non una concessione dall’alto.
Per tutto l’Ottocento, le politiche dei governi oscillarono tra i due princìpi: quello della tolleranza e quello della libertà religiosa pienamente intesa.
Anche tra Ottocento e Novecento l’atteggiamento assunto dagli Stati nei confronti dei fenomeni religiosi rimase ambiguo e incerto. Da un lato, la legge di rigida separazione tra Stato e Chiesa approvata in Francia nel 1905 costituì per molto tempo un modello sia per il controllo pubblico delle Chiese nazionali sia per le istanze di laicità promosse soprattutto dai partiti di sinistra. Dall’altro, diversi paesi ricorsero allo strumento del concordato per gestire i rapporti tra lo Stato e le organizzazioni religiose su un piano di parità, talvolta per garantirsi l’appoggio delle autorità cattoliche nel controllo dell’ordine pubblico.
Solo dopo la Seconda guerra mondiale si giunse a una formulazione pressoché definitiva della libertà religiosa sulla base del pluralismo, il principio-guida di tutti i documenti delle attuali organizzazioni internazionali.
In Italia, finita la guerra, fu proclamata la Repubblica e le questioni legate alla libertà religiosa trovarono ampio spazio nell’elaborazione della nostra Costituzione. Innanzitutto con l’articolo 3 fu sancita per tutti i cittadini la pari dignità e l’uguaglianza davanti alla legge, senza alcun tipo di discriminazione sessuale, etnica, religiosa o politica; con l’articolo 8 tutte le confessioni religiose furono dichiarate egualmente libere davanti alla legge (pur esistendo un rapporto particolare tra lo Stato italiano e la Chiesa cattolica); con l’articolo 19 si decretò che tutti hanno diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, di farne propaganda e di esercitarne il culto.
I principi costituzionali indicano senza incertezze una chiara via di tolleranza da percorrere affinché ci sia una convivenza pacifica tra le persone, un obiettivo da raggiungere oggi più che mai, visti i grandi flussi migratori che obbligano popolazioni di diverse confessioni religiose a interagire tra loro.
Nonostante molti Stati abbiano nelle loro Costituzioni degli articoli a protezione del diritto di libertà religiosa, molti di esse di fatto non li rispettano. In Iraq, Iran, Egitto, Libano, Afghanistan, Pakistan, India, Birmania e soprattutto Cina continuano a registrarsi atti di violenza contro le minoranze religiose (cristiane soprattutto, ma anche buddiste, islamiche, ecc.), così come restrizioni nella libertà di culto.
L’intolleranza religiosa continua a essere uno dei grossi macigni posti sulla strada della pace e della convivenza tra le culture.