La conquista della Libia era tra gli obiettivi di politica estera del Presidente del consiglio Giovanni Giolitti.
Guerra di Libia o Guerra italo turca
Giovanni Giolitti rispose alla volontà popolare di conquistare terre coloniali, in un periodo in cui la «febbre coloniale» aveva contagiato tutte le nazioni europee.
Anche il poeta Giovanni Pascoli, nel novembre del 1911, pronunciò un discorso a favore di un intervento italiano in Libia.
Secondo Pascoli, l’Italia – «la grande proletaria» – aveva il diritto politico, morale e sociale di conquistare nuove terre. Solo così, infatti, essa avrebbe potuto offrire nuovi sbocchi alla sua manodopera esuberante e far sì che i «proletari» italiani non sarebbero stati più costretti ad andare a lavorare in terre straniere e ad arricchire così, con la loro fatica, altri popoli.
L’Italia in Libia
Incalzato quindi dall’opinione pubblica, nel settembre 1911 Giolitti mandò un corpo di spedizione in Libia, un possedimento turco scelto sia perché era una tra le pochissime terre africane rimaste libere sia perché l’impero ottomano in quel momento attraversava un periodo di crisi.
Nonostante l’enorme spiegamento di mezzi, tuttavia, l’impresa fu superficialmente sottovalutata.
I pochissimi Turchi che la presidiavano armarono i Libici, i quali opposero una strenua resistenza alle truppe italiane che, dopo aver perso 3500 uomini, reagirono in modo barbaro.
Lo storico Angelo Del Boca, autore di studi fondamentali sulle guerre coloniali italiane, ha trovato negli archivi militari le prove, nascoste per molti anni all’opinione pubblica, degli stermini di massa eseguiti dagli italiani in Libia contro i civili. I militari italiani piombavano infatti sui villaggi; appiccavano il fuoco alle capanne e ai campi di orzo; uccidevano il bestiame; fucilavano e impiccavano persone inermi. Il totale delle vittime non è certo, ma sembra si aggiri sulle 100 000.
La conquista della Libia fu dunque più lunga e difficile del previsto. Per venire a capo della resistenza, l’Italia dovette non solo rinforzare il corpo di spedizione, ma anche estendere il teatro di guerra al Mar Egeo, occupando l’isola di Rodi e l’arcipelago del Dodecaneso.
Solo nell’ottobre del 1912 i Turchi acconsentirono a firmare la pace di Losanna, rinunciando alla sovranità politica sulla Libia e conservando per il sultano un’autorità religiosa sulle popolazioni musulmane. La pace non valse, tuttavia, a far cessare la resistenza araba; e da ciò gli italiani trassero pretesto per mantenere l’occupazione di Rodi e del Dodecaneso.
Dal punto di vista economico, poi, la conquista della Libia si rivelò un pessimo affare. I costi della guerra furono molto pesanti; le ricchezze naturali favoleggiate si scoprirono scarse o inesistenti (nessuno sospettava allora la presenza di petrolio nel sottosuolo, definito da alcuni uno “scatolone di sabbia”); la colonizzazione delle zone costiere non bastò ad assorbire quote consistenti di lavoratori.