Baccanti di Euripide è una tragedia e, come Ifigenia in Aulide, fu rappresentata postuma, nel 406 a.C. circa.
La tesi secondo cui le Baccanti costituiscono un ritorno di Euripide agli antichi culti potrebbe trovare conferma nel carattere tradizionale della struttura, in cui grande rilievo assumono le parti corali e mancano invece le innovazioni presenti in molte delle opere anteriori, come la ricerca di effetti musicali attraverso arie e intermezzi.
Baccanti di Euripide trama
Dioniso è giunto – come egli stesso dice nel prologo – a Tebe per dimostrare la sua divinità alle sorelle della madre Semele, le quali negano che egli sia figlio di Zeus. Per punizione il dio le ha invasate insieme a tutte le altre donne di Tebe che ora stanno baccheggiando sul monte Citerone.
Anche il vecchio re Cadmo – che ha ceduto il potere al nipote Penteo – e il vecchissimo sacerdote Tiresia si stanno avviando, in abito da baccanti, alla celebrazione del rito orgiastico in onore del nuovo dio.
Penteo intende opporsi alla follia generale e ordina alle guardie di catturare e di portargli dinanzi quello straniero, distruttore della società civile, che diffonde riti osceni.
Lo straniero non si oppone e si lascia arrestare. Condotto davanti a Penteo ne ascolta con calma le infuriate accuse e accetta di buon grado di lasciarsi chiudere in carcere, dicendosi sicuro che Dioniso (ma è ovviamente il dio stesso che sta parlando in sembianze umane) lo libererà facilmente.
Ecco, infatti, subito dopo, che la terra trema, crolla la reggia di Penteo, un fulmine di Zeus fiammeggia sopra la tomba di Semele e il dio ricompare in scena fra le baccanti prostrate.
Rientra in scena Penteo, più furente che mai, ordina alle guardie di catturare e porre in ceppi tutte le baccanti.
Il dio, con sottile e feroce astuzia, inizia ora a tessere il piano della sua perfida vendetta. Convince, infatti, Penteo – a poco a poco preso dalla leggera follia ispiratagli dal dio – a seguirlo sul Citerone, dopo essersi travestito da baccante, per vedere egli stesso le baccanti.
Penteo si lascia persuadere e segue il dio. Questi, giunto sul monte, lo fa salire su un alto pino che ha con estrema facilità piegato egli stesso sino a terra per consentire a Penteo di montarvi a cavalcioni. Un simile atto di forza sovrumana dovrebbe rivelare a Penteo la vera identità e la vera natura dello straniero, ma il re di Tebe non avverte nulla e, quindi, cade irreparabilmente nella terribile trappola.
Infatti, non appena il pino si è risollevato in alto, lasciato andare lentamente da Dioniso per non disarcionare Penteo, il dio lancia un grido alle baccanti rivelando loro la presenza di Penteo, profanatore dei sacri riti. Le baccanti si scagliano, guidate da Agave, la madre di Penteo, contro il misero re di Tebe. Tutte, infatti, in preda all’invasamento divino non lo riconoscono e lo scambiano per un leone, facendone orrido scempio.
Ancora in preda alla furia bacchica, Agave ricompare in scena reggendo fra le mani il capo di Penteo che ancora crede una testa di leone. Gradualmente riprende coscienza e alla fine ha la tragica consapevolezza di quanto la follia bacchica l’ha spinta a compiere.
Mentre Agave e Cadmo piangono, sia la morte di Penteo che la rovina della loro casa, ricompare Dioniso, questa volta in tutta la sua maestà divina. Il dio spiega di aver architettato il tutto per punire chi non credeva nella sua natura divina e condanna Cadmo e Agave ad essere esiliati in terre lontane.
Per un approfondimento leggi Le tragedie di Euripide: caratteri, trame, personaggi
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