Promessi Sposi capitolo 4 Riassunto dettagliato, analisi e commento degli avvenimenti, luoghi e personaggi del celebre romanzo di Alessandro Manzoni.
Pescarenico: descrizione umana e paesaggistica
Il capitolo 4 si apre con l’alba di un nuovo giorno (il terzo della vicenda) e Manzoni dichiara che si tratta di una scena lieta: il cielo è sereno; spira un venticello d’autunno, che fa staccare dai rami le foglie appassite del gelso; nelle vigne le foglie “rosseggianti”, ancora attaccate ai tralci, brillano di rugiada.
Dunque un paesaggio autunnale assai diverso da quello che apre il romanzo. Nel paesaggio del primo capitolo infatti acquista rilievo la dimensione spaziale, in cui dominano gli elementi geografici; in questo prevale soprattutto la dimensione del tempo (l’ora mattutina; la stagione autunnale; la circostanza storica della carestia) e a dominare è l’uomo (i mendicanti; i lavoratori sparsi nei campi; la fanciulla che tiene per la corda la vaccarella). Tutte le immagini sono intrise di malinconia, che intristiscono quella natura inizialmente lieta.
Allora, due paesaggi, quello del primo e del quarto capitolo, tra loro opposti e che riflettono due diverse concezioni di vita: paesaggio borghese, sfondo e immagine del quieto vivere, quello di don Abbondio; paesaggio della gente che soffre, della vita intesa come sacrificio, quello di fra Cristoforo.
La storia del personaggio, fra Cristoforo, occupa l’intero capitolo 4; l’autore fa coincidere il tempo da egli impiegato nel racconto con il tempo impiegato da fra Cristoforo per giungere alla casa di Lucia e Agnese: «ma intanto che noi siamo stati a raccontare i fatti del padre Cristoforo, è arrivato…».
Promessi Sposi capitolo 4 Riassunto. Descrizione di Padre Cristoforo
L’età di fra Cristoforo è il primo elemento del suo ritratto: «più vicino ai sessanta che ai cinquant’anni».
Poi segue la descrizione fisica del frate. Essa riguarda solo il volto, cui è affidato il compito di rivelare anche gli aspetti dell’interiorità, in una costante condizione di lotta fra opposte passioni e fra atteggiamenti antitetici: «il suo capo raso, salvo la piccola corona di capelli, che vi girava intorno, secondo la regola dell’ordine dei Cappuccini, si alza di tanto in tanto, con un movimento che lasciava trasparire un non so che d’altero e d’inquieto» e subito si abbassa, riprendendo un atteggiamento di umiltà. «La barba bianca e lunga, che gli copriva le guance e il mento, faceva ancor più risaltare le forme rilevate della parte superiore del volto», alle quali, le ripetute e abituali pratiche del digiuno, hanno aggiunto austerità e solennità e i due occhi «per lo più chinati a terra» talvolta sfolgorano «con vivacità repentina».
Promessi Sposi capitolo 4 Riassunto. Storia di padre Cristoforo
L’educazione ricevuta
Padre Cristoforo, prima di divenire Cappuccino, si chiama Lodovico. È figlio di un mercante di tessuti, ritiratosi dagli affari per godersi le sue ricchezze, tra agi e lussi pari a quelli dei nobili. All’interno di questo raffinato tenore di vita, tuttavia, si insinua nell’animo del padre di Lodovico un senso di vergogna per il suo antico mestiere, che a poco a poco ripudia, cercando di dimenticarlo e farlo dimenticare con ogni mezzo. Guai a chi inavvertitamente, ne faccia allusione.
Il ricco mercante educa il figlio secondo le norme della nuova condizione sociale, così che il figlio rappresenti il raggiungimento del suo scopo. Ma, secondo il giudizio del Manzoni, il padre di Lodovico è incapace di riflettere che «il vendere non è cosa più ridicola del comprare».
I potenti del luogo, però, tengono il ragazzo in disparte ed egli si sente spinto dal suo temperamento e dalla sua stessa situazione a diventare una sorta di protettore degli oppressi e di vendicatore degli offesi. Dunque è animato da due sentimenti di natura diversa: amore per la giustizia e odio per i propri rivali, che lo porta a doversi circondare di “bravacci”. E’ appunto in questa condizione di vita combattuta e contraddittoria che «sorge la fantasia di farsi frate», la quale, aggiunge Manzoni «a que’ tempi, era il ripiego più comune, per uscir d’impicci»; una fantasia, conclude poi, che sarebbe rimasta tale se non fosse intervenuta un’esperienza diversa, quella della morte.
Il duello
Si apre ora l’episodio del duello e nel raccontarlo Manzoni utilizza il frasario e le procedure tipiche delle dispute del Seicento. La scelta di costruire la narrazione sui documenti del tempo si inserisce nella preoccupazione manzoniana di dimostrare la storicità del romanzo.
Un giorno, Lodovico, mentre passeggia per strada, accompagnato da due bravi e dal fedele servitore Cristoforo, viene a lite con un nobile per una questione di precedenza.
La lite degenera e Cristoforo (il servitore) è ferito a morte. Mosso dal desiderio di vendetta, a sua volta Lodovico colpisce il potente avversario ed è egli stesso ferito. Con l’aiuto della folla, è ricoverato nel vicino convento dei Cappuccini, dove riceve i primi soccorsi. Il giovane ritorna con il pensiero al momento in cui ha ucciso il rivale e ha visto Cristoforo morire per lui: «l’impressione ch’egli ricevette dal veder l’uomo morto per lui, e l’uomo morto da lui, fu nuova e indicibile».
La conversione
L’animo agitato da sgomento, angoscia, rimorso, approda alla decisione di dedicare la sua vita all’espiazione per il bene del prossimo. Così decide di entrare nell’ordine dei Cappuccini, scegliendo il nuovo nome di Cristoforo. Ora Lodovico è «contento in mezzo al dolore, perché è entrato in una vita di espiazione e di servizio», capace se non di “riparare” almeno di “pagare” il male commesso.
Questa coscienza del valore della vita umana e della irreparabilità del delitto, profondamente sentita da Manzoni e trasferita in fra Cristoforo, spiega l’umiltà del frate. Per padre Cristoforo l’umiltà è una continua conquista ed essa nasce dal riconoscimento di una colpa irreparabile, per la quale espiare per tutta la vita.
Il perdono
Segue la proposta del novizio (Lodovico) di voler recarsi dal fratello dell’ucciso a chiedere perdono e al frate guardiano «parve che un tal passo, oltre all’esser buono in sé, servirebbe a riconciliar sempre più la famiglia col convento». Anche gli altri frati Cappuccini sono lieti, perché «salvavano un uomo e i loro privilegi, senza farsi alcun nemico».
Come i frati, anche i parenti dell’ucciso sono osservati nei loro limiti morali e nei loro preconcetti sociali. Infatti, per i parenti non importa l’ucciso, ma sta a cuore soltanto il prestigio del casato («la storia non dice che a loro dolesse molto dell’ucciso, e nemmeno che una lagrima fosse stata sparsa per lui, in tutto il parentado»).
Ed è ancora il coro dei parenti a dominare nella scena del perdono: «a mezzogiorno, il palazzo brulicava di signori d’ogni età e d’ogni sesso»; tra tutti risalta il padrone di casa, atteggiato in quella posa piena di alterigia e di ostentazione: «circondato da’ parenti più prossimi, stava ritto nel mezzo della sala, con lo sguardo a terra, e il mento in aria, impugnando, con la mano sinistra, il pomo della spada, e stringendo con la destra il bavero della cappa sul petto».
Fra Cristoforo quando si trova di fronte alla folla riunita nella casa del fratello dell’ucciso, vedendo la messinscena, «provò un leggier turbamento, ma dopo un istante, disse tra sé: – sta bene -: l’ho ucciso in pubblico, alla presenza di tanti suoi nemici: quello fu scandalo, questa è riparazione». Allora s’inginocchia con un atteggiamento di autentica umiltà. Il suo gesto e le sue parole muovono il cuore di tutti.
La mimica falsa dei nobili convenuti per gustare la vendetta si trasforma, così, in uno spontaneo applauso a chi ha avuto il coraggio di essere se stesso, di umiliarsi confessando apertamente la propria disperazione, di espiare duramente.
A fra Cristoforo è dunque concesso il perdono ed egli chiede in dono, come segno del perdono, un pane. Questo “pane del perdono” lo accompagnerà per tutta la vita, sino a quando, al lazzaretto, sentendo prossima la morte, lo donerà come ricordo di sé e monito a non peccare d’orgoglio, a Renzo e Lucia ricongiunti.
Manzoni sottolinea come il gesto del Cappuccino cambi mentalità e atteggiamento anche nel fratello dell’ucciso. Il mutamento è reso efficacemente evidente dall’invito a non restare in ginocchio che il fratello rivolge al frate: «…ma, padre, lei non deve stare in codesta postura», per poi, rimasto solo e ripensando alle cose udite e dette, trovarsi a borbottare tra i denti: «Diavolo di un frate! Se rimaneva lì in ginocchio, ancora per qualche momento, quasi quasi gli chiedevo scusa io, che m’abbia amazzato il fratello».
Padre Cristoforo d’ora in poi vivrà obbedendo alle regole del suo nuovo stato, e se ne impone altre due: appianare i contrasti e proteggere gli oppressi. Egli lotterà sempre con se stesso per sottomettere alle regole dell’umiltà il suo temperamento, ribelle e impetuoso.
Promessi Sposi capitolo 4 Riassunto. Padre Cristoforo ritorna alla casa di Lucia e Agnese
Terminata la regressione, la narrazione riprende con l’arrivo di Padre Cristoforo alla casa di Lucia e Agnese.
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