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Promessi Sposi capitolo 18 Riassunto

Promessi Sposi capitolo 18 Riassunto dettagliato, analisi e commento degli avvenimenti, luoghi e personaggi del celebre romanzo di Alessandro Manzoni

Promessi Sposi capitolo 18 Riassunto: Renzo è ricercato dalla giustizia al suo paese

Dopo aver lasciato Renzo al sicuro, in terra bergamasca, presso il cugino Bortolo, Manzoni torna al paese di Renzo e Lucia.

Il signor podestà, alla testa di un piccolo drappello di notai e di sbirri, sfonda l’uscio e perquisisce l’abitazione di Renzo, fra la costernazione generale. Infatti, nessuno dei compaesani di Renzo crede alle accuse che gli vengono rivolte; piuttosto è opinione diffusa che sia un’altra delle persecuzioni messe in atto da don Rodrigo.

Promessi Sposi capitolo 18 Riassunto: don Rodrigo decide di chiedere aiuto a un potente signore

Don Rodrigo, ora, si trova in un vicolo cieco. Il suo onore è profondamente ferito dallo smacco subito e non ha il coraggio di presentarsi ai suoi compagni di bagordi, a Milano, perché ne teme i dileggi e le canzonature fomentate dal cugino Attilio. Si vergogna persino dei contadini, contenti del fatto che Lucia si sia messa in salvo: infatti, il monastero di Monza è davvero inespugnabile e la protezione della «signora» è «un osso troppo duro per i denti di don Rodrigo».

Tuttavia, prima di rinunciare, gioca la sua ultima carta: ricorre all’aiuto «d’un tale, le cui mani arrivavano spesso dove non arrivava la vista degli altri: un uomo o un diavolo».

Promessi Sposi capitolo 18 Riassunto: al convento arrivano notizie frammentarie sui tumulti di Milano. Agnese e Lucia sono prese dall’angoscia

Intanto, al convento arrivano notizie frammentarie sui tumulti di Milano e sulla fuga di Renzo: Agnese e Lucia sono prese dall’angoscia, ma sono di conforto le informazioni sul felice approdo di Renzo in territorio veneto, che padre Cristoforo invia loro attraverso un pescivendolo.

Promessi Sposi capitolo 18 Riassunto: confronto tra Lucia e Gertrude entrambe vittime di un’ingiustizia

Nel frattempo, Gertrude si è affezionata a Lucia, conquistata dalla sua rispettosa dolcezza e dall’ingenua riconoscenza. E se talvolta a Gertrude spiace vedersi esclusa dalla confidenza della giovane, non può fare a meno di esserle grata di costituire per lei un mezzo di parziale compensazione delle sue malefatte: «tutto si perdeva nella soavità d’un pensiero che le tornava ogni momento, guardando Lucia: – a questa fo del bene».

Viene spontaneo mettere a confronto i due personaggi: Lucia e Gertrude.
Entrambe sono vittima di un’ingiustizia che affonda le sue radici nell’orgoglio e nel puntiglio. La differenza, tuttavia, sta nella diversa disposizione dell’animo ad accogliere le tribolazioni: Gertrude, se all’apparenza accetta formalmente il suo stato, in realtà infrange i voti, perché si lega a Egidio in un’orribile tresca e diventa complice di un omicidio; al contrario Lucia si affida alla Provvidenza; accetta le sofferenze come segno della volontà divina e attinge alla fede la forza per sperare.

Un abisso separa le due donne, poiché l’umile contadina ha capito, nella sua semplicità, ciò che alla principessa è sempre sfuggito: non è possibile reagire al male e all’ingiustizia macchiandosi delle stesse colpe dei persecutori, e le soddisfazioni terrene sono un ben misero palliativo di fronte alla gioia autentica di compiere la volontà di Dio.

Promessi Sposi capitolo 18 Riassunto: Agnese torna al paese per chiedere notizie su Renzo a padre Cristoforo, ma il frate è partito per Rimini

Torniamo a Lucia e Agnese: ad un certo punto i messaggi di padre Cristoforo smettono di arrivare e Agnese decide di tornare al paese per saperne di più.

Al convento di Pescarenico fra Galdino le comunica che padre Cristoforo è stato mandato a Rimini per ordine del padre provinciale; Agnese è presa dallo sconforto e quasi quasi scoppia in lacrime.

Promessi Sposi capitolo 18 Riassunto: il conte zio. Il conte Attilio si reca da lui per ottenere l’allontanamento di padre Cristoforo

Manzoni per spiegare le ragioni dell’allontanamento di padre Cristoforo introduce un personaggio: il conte zio del consiglio segreto (un organo importante che il governatore di Milano consulta prima di operare scelte di particolare rilievo).

Al conte zio il nipote Attilio si rivolge per ottenere il trasferimento di padre Cristoforo in un convento lontano da Pescarenico, in modo da liberare il cugino Rodrigo da quel padre, descritto da Attilio come un provocatore («è il frate che l’ha con lui, che l’ha preso a provocarlo in tutte le maniere…») e che ha un rapporto interessato e possessivo con una contadina («ha per questa creatura una carità, una carità… non dico pelosa, ma una carità molto gelosa, sospettosa, permalosa»).

Attilio fa inoltre credere allo zio che il frate si ride delle parentele del nipote: pertanto, per il buon nome della famiglia, è opportuno – suggerisce Attilio- che il conte zio intervenga presso il padre provinciale per far cambiare aria al frate.
Scatta nel conte zio il puntiglio e l’orgoglio e così, anche se preso dai suoi pressanti affari di stato, lascia intendere che interverrà per risolvere la faccenda.

La figura del conte zio è stata brevemente accennata nelle parole di Attilio nel capitolo 11: «quanto mi diverto ogni volta che lo posso far lavorare per me, un politicone di quel calibro!».

Il conte zio è un uomo borioso, tutto intento a dar di sé l’immagine di persona potente e molto influente, attraverso il suo «parlare ambiguo», il ricorso all’arte del dire e non dire; illude senza promettere; minaccia, ma con modi garbati; fa credere di avere importanti relazioni diplomatiche: infatti, nel racconto del soggiorno di Madrid, si mette in mostra come un uomo degno della confidenza particolare del conte duca, ma dalle sue parole ci accorgiamo dell’inconsistenza della confidenza stessa, poiché le annotazioni sulla grandezza del duomo di Milano non fanno certamente parte delle informazioni riservate. Il fatto è che questo «politicone», abituato a gettar fumo negli occhi del prossimo, è davvero convinto di essere importante e decisivo nella vita politica del mondo.

In realtà il personaggio del conte zio è sostanzialmente fragile, influenzabile e agevolmente manipolabile, anche da uno come Attilio, che non brilla certo per doti di diplomazia.

Il conte zio denota un’abissale povertà interiore. Tutti i suoi sforzi sono tesi a lustrare la facciata dell’immagine esterna, trascurando di coltivare i valori dello spirito. Ne scaturisce il paragone che Manzoni fa con le scatole nelle botteghe dei farmacisti: «quelle scatole che si vedono ancora in qualche bottega di speziale, con su certe parole arabe, e dentro non c’è nulla; ma servono a mantenere il credito alla bottega», cioè sono vuote ma molto decorative.

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