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Le trincee della Prima Guerra Mondiale

Le trincee della Prima Guerra Mondiale erano una serie di fossati paralleli, sempre più larghi, scavati nel terreno per mettere i soldati al riparo dal fuoco nemico.

Perché la Prima guerra mondiale fu detta “guerra di trincea”

Ben presto la Prima guerra mondiale si trasformò dalla “guerra lampo” ideata dalla Germania in “guerra di trincea”, ovvero in un’estenuante guerra di logoramento; era scandita da brevi ma micidiali scontri quotidiani, con perdite umane mai verificatesi in nessun conflitto precedente (da qui la definizione di Grande Guerra).

In cinque anni andarono sotto le armi 70 milioni di uomini appartenenti a 19 Paesi, se, oltre alle nazioni belligeranti, si contano anche le loro colonie.

Per tutta la durata della guerra la vita di queste persone (esclusi i marinai e gli aviatori) si svolse nelle trincee.

Come erano le trincee della Prima guerra mondiale

Le trincee della Prima guerra mondiale erano protette da reticolati di filo spinato; collegate tra loro per mezzo di camminamenti costruiti nella parte posteriore e più profonda dello scavo, per consentire di muoversi senza esporsi al fuoco nemico. In molti tratti del fronte, le due trincee nemiche della prima linea distavano poche decine di metri.

Una trincea ben costruita non doveva essere rettilinea per un lungo tratto, ma doveva fare uno zig-zag ogni 4 o 5 metri. Il pavimento, sempre in una trincea ben fatta, era coperto da un tavolato di legno, lungo il quale correvano canaletti per raccogliere l’acqua. Le pareti erano rafforzate da sacchetti di sabbia, lamiere di ferro ondulato oppure fascine, paglia o pali. Lungo le pareti delle trincee erano scavate delle buche usate dai soldati per riposarsi.

La trincea poteva essere coperta da un tetto fatto di sottili travicelli, che sostenevano uno strato di terra. Insomma era una tana, che poteva trasformarsi in una tomba.

Com’era la vita dei soldati nelle trincee

Gli assalti iniziavano di regola nelle prime ore del mattino (intorno alle 4,30) ed erano preceduti da un massiccio tiro di artiglieria. Contemporaneamente la fanteria si arrampicava lungo le pareti del fossato; saliva allo scoperto e si gettava contro le protezioni di filo spinato delle trincee nemiche, sotto il fuoco di sbarramento delle mitragliatrici; colpiva quindi il nemico con la baionetta (un lungo coltello posto sotto la canna del fucile), ingaggiando una lotta corpo a corpo.

Il bravo soldato, secondo i capi militari, doveva andare all’attacco in posizione eretta e a testa alta. Strisciare a terra o gettarsi in una buca per ripararsi dal fuoco, allora era considerato una prova di vigliaccheria, chi era sorpreso a farlo era immediatamente processato da un tribunale militare.

Quando ormai era giorno pieno e appariva evidente che nessuno intendeva muovere all’attacco, ognuno «smontava» e tutti, a piccoli gruppi, cominciavano a preparare il rancio. Molti generali sostenevano che ogni soldato doveva cucinarsi il rancio da sé, perché ciò rafforzava il morale e lo spirito di gruppo, senza prevedere che raccogliere la legna fuori dalle trincee per accendere il fuoco equivaleva a un suicidio. L’unico che aveva previsto cucine da campo mobili su carretti, accudite da soldati addetti all’approvvigionamento delle truppe, era il Kaiser Guglielmo II.

I soldati passavano poi a pulire le armi e a riparare le parti della trincea danneggiate durante la notte; oppure scrivevano lettere, si spidocchiavano o dormivano. Gli ufficiali ispezionavano, incoraggiavano e giravano attorno indagando sullo stato d’animo degli uomini. Sottoponevano a censura le lettere della truppa e si occupavano di compilare quotidianamente i prospetti sull’ammontare delle munizioni e la quantità di rifornimenti per la trincea. Bisognava inoltre inviare il resoconto delle perdite durante la notte. Bisognava scrivere le lettere di condoglianze ai parenti dei morti.

I feriti dovevano aspettare la notte perché i barellieri andassero a prelevarli; quindi furono tanti coloro che, pur potendosi salvare, morirono dissanguati.
Gli ospedali erano indietro nelle retrovie e nei primi due anni di guerra i feriti da ricoverare erano trasportati su carrette, solo dopo entrarono in servizio le prime ambulanze. Piccoli ospedali da campo furono poi sistemati abbastanza vicini alle prime linee. Erano tende divise in quattro dove i chirurghi ruotavano passando da un intervento all’altro.

Diserzioni, mutilazioni e stato di shock dietro le trincee della prima guerra mondiale

La vita nelle trincee della prima guerra mondiale logorava i combattenti nel morale oltre che nel fisico; li gettava in uno stato di apatia e di torpore mentale. Soldati e ufficiali restavano in prima linea senza ricevere il cambio anche per intere settimane. Vivevano in condizioni igieniche deplorevoli, senza potersi lavare né cambiare. Erano esposti al caldo, al freddo e alle intemperie, costantemente in compagnia di pidocchi, pulci e ratti.

Talvolta, la paura o l’avversione contro la guerra si tradussero in forme di autentico rifiuto. Alcuni tentarono la diserzione, gettando via il fucile durante un assalto e arrendendosi al nemico. Una volta fatti prigionieri avevano infatti la speranza di trascorrere il resto della guerra in un campo di concentramento, in cui le condizioni non erano certo peggiori di quella della vita di trincea. Molti ricorsero alle mutilazioni con la speranza di essere riformati e mandati a casa; gli ufficili però le scoprivano facilmente e le punivano con la fucilazione.

Capitava anche che il soldato fosse colpito da uno stato di shock: era completamente disorientato, sordo agli ordini e quando era lanciato l’attacco, restava fermo nelle trincea. La pena per questo comportamento era la fucilazione o legato a un albero nella “terra di nessuno”, esposto al fuoco incrociato delle opposte trincee.

 

 

 

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