Henrik Ibsen scrisse Casa di Bambola, un’opera teatrale del 1879 in tre atti, in cui il drammaturgo norvegese mette in scena il dramma interiore di una donna, Nora, che lotta per la propria indipendenza.
Qui di seguito troverai Casa di bambola riassunto della trama, analisi, commento, personaggi, temi principali di Casa di bambola di Ibsen.
Comunemente il nome di Henrik Ibsen è associato al dramma in tre atti Casa di bambola scritto nel 1879 e rappresentato per la prima volta il 21 dicembre dello stesso anno a Copenaghen.
Casa di bambola trama
L’azione scenica si svolge interamente a casa dell’avvocato Torvald Helmer.
Torvald è sposato da otto anni con la giovane Nora, con la quale ha instaurato un rapporto più da padre premuroso che da marito, ritenendola puerile e spensierata.
Nora però non è mai stata quella “bambola” irresponsabile che il marito crede. In passato, infatti, per poter curare una grave malattia del marito, la donna ha contratto un debito con Krogstad, uno strozzino, falsificando la firma del padre su alcune cambiali.
La situazione sembra migliorare quando Torvald è promosso direttore della filiale di banca in cui lavora. Proprio lì, però, è impiegato anche Krogstad.
Per ottenere vantaggi personali Krogstad minaccia Nora di rivelare tutto e comincia a ricattarla. In seguito, entrato in contrasto con Torvald, Krogstad gli rivela il segreto della moglie.
Inutilmente Nora tenta di ottenere la comprensione di Torvald. Questi, indignato e preoccupato di mettere a tacere il possibile scandalo, si scaglia violentemente contro la donna accusandola di aver agito con infantile superficialità e che, in quanto indegna moglie, l’allontanerà dalla cura dei loro figli.
Grazie all’intervento di un’amica di Nora, Kristine Linde, tutto viene sistemato. Certo oramai che non scoppierà più alcuno scandalo, Torvald magnanimamente perdona Nora, rivelandole così la propria natura meschina ed egoista.
Nora però si è resa conto che tra lei e il marito non c’è più possibilità d’intesa: dopo essere stata trattata a lungo come una bambina stupida e sventata si ribella. Conscia di avere il dovere e il diritto di conquistare da sola quell’esperienza che le è stata negata e di avere una propria identità, lascia la famiglia e i figli e va via di casa.
Casa di bambola di Ibsen commento e analisi
In Casa di bambola Ibsen, senza falsi pudori, svela le ipocrisie del cosiddetto perbenismo borghese. Ne mette in luce i turbamenti e le crisi individuali che si nascondono dietro la facciata di rispettabilità.
I personaggi sono scandagliati nella profondità del loro intimo sentire. Senza reticenza Henrik Ibsen ne mette in evidenza anche i comportamenti più negativi, dettati sempre dall’egoismo e dalla strenua difesa degli interessi personali, familiari e sociali.
La famiglia, apparentemente altare della concordia e dell’affetto reciproco, è smitizzata al punto da essere rappresentata come sede dei conflitti interpersonali più aspri e laceranti e causa delle più acute crisi interiori.
La struttura drammatica è legata alla tradizione. Dura infatti un arco di tempo limitato (tre giorni, dalla Vigilia di Natale a Santo Stefano, corrispondenti ai tre atti); rispetta l’unità di luogo, perché la scena è fissa e l’azione si svolge tutta in casa di Helmer.
Il discorso si articola in dialoghi scarni e realistici. Le didascalie in corsivo e tra parentesi forniscono indicazioni sugli atteggiamenti, i gesti, le azioni dei personaggi.
Che cosa rappresenta il dramma di Ibsen Casa di bambola?
La prima rappresentazione di Casa di bambola di Ibsen, il 21 dicembre 1879, suscitò una vera e propria tempesta nella morigerata borghesia norvegese. Dalla Norvegia lo scandalo si dilagò in tutta Europa. In effetti, il dramma, incentrato su una questione dibattuta come quella della condizione femminile e, più precisamente, del ruolo che la donna deve avere nella famiglia e nella società, conteneva tutti gli elementi per scatenare le reazioni dei bravi borghesi europei, per lo più simili, nel loro comportamento nei confronti della donna, al protagonista maschile Torvald Helmer. Ben convinti che una donna è prima di tutto una sposa e una madre e quindi non deve pensare ad altro che alla famiglia e al marito, rinunciando a tutto il resto.
Così, in quello scorcio di XIX secolo, l’attrice Neimann-Rabe arrivò al punto di chiedere a Ibsen di modificare il finale del dramma, perché non se la sentiva di correre il rischio di un insuccesso interpretando un personaggio così anomalo e così pericolosamente rivoluzionario.
E ancora, quarant’anni più tardi, nel 1917, in Italia il pubblico italiano applaudiva sì l’attrice Emma Gramatica nella parte di Nora, ma restava «sbalordito e sordo» di fronte alla scena conclusiva del dramma: «sbalordito» che una donna potesse abbandonare la casa, il marito e i figli «per cercare se stessa, per scavare e rintracciare nelle progfondità del proprio “io” le radici robuste del proprio essere, per adempiere ai doveri che ognuno ha verso se stessa prima che verso gli altri» e «sordo» di fronte alla profonda moralità del gesto della donna.
Quella sera in teatro c’era, mescolato tra la folla, uno spettatore d’eccezione, Antonio Gramsci. A lui dobbiamo, in una recensione che pubblicò l’indomani 22 marzo 1917 su l’«Avanti», la descrizione dello «scandalo» di quei bravi italiani, per i quali le donne potevano sì lavorare nei campi, in casa e nelle fabbriche, ma non pretendere di essere delle persone responsabili e indipendenti.