Inferno Canto 33 della Divina Commedia di Dante. Riassunto e commento.
Argomenti del Canto 33 Inferno:
- Il racconto del conte Ugolino della Gherardesca (vv. 1-78)
- Invettiva contro Pisa (vv. 79-90)
- La Tolomea: i traditori degli ospiti (vv. 91-108)
- Frate Alberigo, Branca Doria (vv. 109-150)
- Invettiva contro Genova (vv. 151-157)
Canto 33 Inferno riassunto
Il racconto del conte Ugolino della Gherardesca in Inferno canto 33 (vv. 1-78)
Il conte Ugolino della Gherardesca deve la sua notorietà al ruolo di protagonista che Dante gli assegna in un episodio tra i più ampi dell’Inferno (Canto XXXII, vv. 124-139; Canto XXXIII, vv. 1-78).
La storia precedente la prigionia non viene raccontata da Dante, perché si tratta di una vicenda nota ai lettori del tempo (clicca qui).
La scena alla quale Dante si trova ad assistere è orribile e raccapricciante: un dannato addenta furiosamente il cranio di un altro. Dante chiede allo spirito chi sia e perché odii a tal punto il suo compagno di pena.
Lo spirito interrogato risponde. È il conte Ugolino, e si accanisce contro l’arcivescovo Ruggieri, pisano come lui. Fidandosi di quest’ultimo, Ugolino era stato ingannato e imprigionato in una torre con due figli e due nipoti. Trascorsi alcuni mesi egli era stato turbato da un sogno: durante una battuta di caccia guidata dall’arcivescovo Ruggieri, il conte Ugolino e i suoi venivano azzannati da cagne fameliche. Svegliatosi all’improvviso aveva sentito i figli piangere e chiedere cibo nel sonno. Di lì a poco le porte della torre vennero inchiodate. I figli invocarono l’aiuto del padre, ma egli non rispose alle loro domande e richieste per un giorno intero e una notte.
Alle prime luci del nuovo giorno, riconobbe nei loro volti emaciati la sua stessa sofferenza dettata dalla fame e in un momento di furore si morse le mani. I figli equivocarono quel gesto e si offrirono in sacrificio al padre. Allora Ugolino si calmò e nei giorni successivi si trovò costretto ad assistere alla morte di ciascuno di loro. Lui fu l’ultimo a morire.
Terminato il racconto il conte Ugolino riprende a mordere il cranio di Ruggieri.
Inferno Canto 33: Invettiva contro Pisa (vv. 79-90)
Dante, sdegnato per l’atrocità della storia udita, maledice Pisa: la città, infatti, è colpevole perché non ha risparmiato quattro giovani innocenti. E allora Dante invoca sulla città una punizione apocalittica: le isole toscane di Capraia e di Gorgona si spostino dal largo, raggiungano la foce dell’Arno, ostruiscano il deflusso delle sue acque così che il fiume straripi su Pisa, sommergendola.
Inferno Canto 33: La Tolomea: i traditori degli ospiti (vv. 91-108)
Dante e Virgilio riprendono il cammino e giungono nella terza zona del Cocito, la Tolomea, in cui sono puniti i traditori degli ospiti (il nome deriva da Tolomeo, personaggio biblico, che fece uccidere il suocero con i figli dopo averli invitati a un banchetto). Questi dannati sono imprigionati nel ghiaccio, nel quale stanno distesi con il volto all’insù, esposto a un vento impetuoso e freddissimo che fa gelare le loro lacrime, in una dolorosa crosta sugli occhi.
Il viso di Dante è privo di sensibilità a causa del freddo, eppure egli sente spirare del vento. Il poeta è meravigliato: come può esserci vento nel fondo dell’Inferno dove non c’è il sole, che, seconda la scienza medievale, riscalda la terra generando vapori e muovendo l’aria? Virgilio gli risponde che presto sarà nel punto dove avrà la risposta, vedendo coi propri occhi la causa che fa scendere il vento.
Inferno Canto 33: Frate Alberigo, Branca Doria (vv. 109-150)
Fra i dannati immersi nel ghiaccio, Dante si stupisce di vedere frate Alberigo.
Frate Alberigo chiede ai due poeti di liberarlo dal ghiaccio incrostato sui suoi occhi, in modo da poter piangere. Dante gli giura di liberarlo dal ghiaccio, a costo di dover finire nell’ultimo tratto dell’Inferno, ma prima deve sapere chi è (in realtà il poeta lo sta ingannando). Risponde di essere frate Alberigo: per rivalità politica, alla fine di un pranzo, fece assassinare due parenti, dopo aver finto di far la pace con loro.
Dante si stupisce di vederlo, perché gli risulta che egli sia ancora in vita. Il frate gli spiega che quella parte dell’Inferno accoglie l’anima di chi si è macchiato di peccati tanto gravi, mentre il corpo continua a restare in Terra posseduto da un demone fino alla morte.
Questa è la sorte anche del genovese Branca Doria, imprigionato nel Cocito già da molti anni.
Branca Doria apparteneva a una celebre famiglia genovese. Per impossessarsi della regione del Logudoro, in Sardegna, fece uccidere il suocero dopo averlo invitato a banchetto.
Dante è perplesso perché sa per certo che Branca Doria è ancora vivo nel mondo. Ma frate Alberigo ribatte che Michele Zanche, suocero di Branca Doria, da quest’ultimo assassinato, non era ancora giunto nella bolgia dei barattieri, che Branca Doria aveva già lasciato il demone nel proprio corpo e la sua anima era precipitata nel Cocito assieme a un parente, che l’aiutò nel suo tradimento.
Il frate invita Dante a mantenere la promessa e ad aprirgli gli occhi, ma egli se ne va via disgustato senza più badare a lui: la colpa del tradimento, che i dannati hanno rivolto a coloro che si fidavano, elimina ogni tratto umano.
Inferno Canto 33: Invettiva contro Genova (vv. 151-157)
Dante, infine, pronuncia una dura invettiva contro i Genovesi, uomini estranei alle buone usanze e pieni di ogni vizio. Dovrebbero essere scacciati dal mondo, poiché ha trovato nel Cocito uno di loro (Branca Doria) con il peggiore spirito della Romagna (frate Alberigo) mentre il suo corpo è ancora in vita sulla Terra.