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Canto 3 Paradiso riassunto e commento

Nel Canto 3 Paradiso Dante si trova nel primo Cielo, quello della Luna. Qui si trovano le anime sante di coloro che, per violenza subita, non portarono a compimento i loro voti religiosi. Dante ha un colloquio con Piccarda Donati, la vera protagonista del canto, nota a Dante perché sorella del suo amico Forese. Piccarda spiega a Dante i gradi di beatitudine e l’inadempienza del voto; poi gli mostra l’anima dell’imperatrice Costanza d’Altavilla.

Che cosa succede nel terzo canto del Paradiso?

Questi gli argomenti del Canto 3 Paradiso di Dante:

  • Il cielo della Luna (vv. 1-33)
  • Piccarda Donati (vv. 34-57)
  • I gradi della beatitudine e l’inadempienza dei voti (vv. 58-108)
  • L’imperatrice Costanza (vv. 109-130)

Terzo canto Paradiso: Apparizione dei beati del cielo della Luna (vv. 1-33)

Dante e Beatrice sono giunti nel cielo della Luna. Dante sta per manifestare la sua gratitudine a Beatrice, per avergli spiegato il sistema delle influenze celesti (Paradiso Canto 2), quando una nuova visione attrae il suo sguardo e lo riempie di meraviglia.

Sullo sfondo luminoso del pianeta si delineano, infatti, volti e figure di persone umane, così tenui e indefinite nei contorni da parere immagini riflesse da un vetro trasparente e terso o da uno specchio d’acqua limpida e immobile e poco profonda.

Il poeta cade nell’errore di crederle immagini rispecchiate di persone collocate alle sue spalle e si volta indietro istintivamente. Beatrice, però, lo avverte che si tratta di vere anime che appaiono in questo cielo più basso perché vennero meno ai loro voti sulla Terra. Dante è così invitato da Beatrice a interrogarle.

 Canto terzo Paradiso: Piccarda Donati e la condizione della anime del cielo della Luna (vv. 34-57)

Dante si rivolge all’anima che sembra più ansiosa di parlare. Le chiede di rivelargli il suo nome e la sua condizione. È Piccarda Donati, amica di gioventù di Dante, il cui destino di beatitudine gli era stato preannunciato nel canto XXIX del Purgatorio dall’amico suo e fratello di lei, Forese.

Piccarda Donati dice a Dante che la sua collocazione nel cielo più lontano da Dio può parere una beatitudine di grado inferiore a quella delle altre anime, ma non è così: le anime sono infatti liete della sorte loro assegnata, perché essa partecipa a creare l’ordine generale del cosmo voluto da Dio. Esse hanno il grado più basso di beatitudine perché i loro voti furono non adempiuti o trascurati in parte.

Paradiso Canto 3: I gradi della beatitudine e l’inadempienza dei voti (vv. 58-108)

Dante precisa di non aver riconosciuto Piccarda prima che lei si rivelasse, perché le anime appaiono trasfigurate e più belle di quanto non fossero in vita.

Poi chiede se lei, e le altre anime con lei, non sarebbero più felici se fossero in un cielo superiore, e quindi più vicine a Dio. Con un sorriso Piccarda risponde che la sua beatitudine, e quella delle altre anime lì con lei, sta nel fare la volontà di Dio. In tutti i cieli vi è uguale gioia, perché così Dio ha deciso.

Dante ha ancora un’altra domanda da porre a Piccarda: quale è stato il voto che non ha potuto compiere.

Piccarda risponde di essere entrata fanciulla nel monastero delle clarisse in Firenze. In seguito, fu strappata a forza da quella sua scelta da Corso e dagli altri malvagi fratelli. Fu costretta ad andare in sposa a Rossellino della Tosa. La pena della violenza subìta era stata così forte in lei da farla morire presto – come riferiscono cronache e leggende – di crepacuore.

Paradiso Canto 3: L’imperatrice Costanza (vv. 109-130)

Piccarda indica poi un’anima splendente alla sua destra che come lei fu privata dell’abito religioso, ma non fu mai distolta dalla promessa interiore. È Costanza d’Altavilla. Ella sposò Enrico VI di Svevia, figlio di Federico Barbarossa e fu madre di Federico II, il terzo e ultimo imperatore svevo.

Detto questo, Piccarda se ne va cantando soavemente l’Ave Maria.

Dopo aver seguito con lo sguardo l’evanescente figura della beata che si allontana, Dante torna a guardare Beatrice. Ella però sfolgora di una tale luce, che è costretto ad abbassare gli occhi.

 

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