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La Repubblica di Platone, riassunto

La Repubblica di Platone, riassunto di Filosofia facile, semplice, completo per studiare e memorizzare rapidamente.

Al problema politico Platone dedicò due importanti opere (come farà poi Cicerone con De re publica e De legibus), una dedicata alla teoria politica, la Repubblica, l’altra al funzionamento e alla regolamentazione dello Stato, le Leggi.

La Repubblica (in greco Politèia) è un dialogo, composto tra il 380 e il 370 a.C., in dieci libri.
Socrate racconta ad alcuni amici una discussione tenutasi il giorno precedente in casa di Polemarco al Pireo. Ha come interlocutori principali, oltre a Socrate, Polemarco, il sofista Trasimaco di Calcedonia, Glaucone e Adimanto.

Nel I libro, che ha la funzione di un vero e proprio prologo, è trattato il problema iniziale dell’essenza della giustizia. Di qui si passa a quello dell’origine e della natura dello Stato.

Sono dapprima analizzate le caratteristiche di uno Stato primitivo, sano, nel quale sono soddisfatti soltanto i bisogni fondamentali dell’uomo. Poi l’ambito della discussione si estende fino all’ipotesi di uno Stato più grande, più avanzato, più confortevole. È di qui che prende le mosse la delineazione della struttura di uno Stato ideale, che occupa la parte centrale del dialogo.

Nello Stato ideale esistono tre classi di cittadini: la classe dei filosofi-magistrati, che hanno il compito di dirigere lo Stato e quindi ad essi deve essere impartita una speciale educazione; la classe dei guerrieri; in basso, la classe dei lavoratori e commercianti, dediti alla produzione delle ricchezze.

Questa tripartizione delle classi costituenti lo Stato corrisponde alle tre anime dell’individuo e sono governate dalle stesse virtù, vale a dire rispettivamente dalla sapienza, dalla fortezza, dalla temperanza. Virtù suprema è la giustizia, in forza della quale classi e individui adempiono al compito loro proprio, senza usurpare le attribuzioni altrui.

I membri delle due classi superiori devono essere educati al più totale disinteresse e al superamento degli egoismi. Proprio a questo scopo, debbono vivere in una specie di collettivismo, avendo in comune ogni proprietà, compresa la famiglia.

Dopo un’analisi delle forme storiche dello Stato e delle varie possibili degenerazioni dei modi di reggimento e dopo la celebre condanna dell’arte (i poeti devono essere espulsi dalla repubblica), il dialogo si chiude con il mito di Er Armenio, del guerriero tornato in vita dopo la morte, il quale ha visto come nei luoghi d’oltretomba le anime dei giusti sono premiate e come le altre siano dopo il giudizio avviate a nuove sorti.

Le tesi più ardite della Repubblica di Platone, in particolare quella della comunanza delle donne e dei beni (comunismo platonico), furono criticate da Aristotele nella Politica e satireggiate da Aristofane nelle Ecclesiazuse.

Il libro VII del dialogo, dedicato all’educazione dei futuri reggitori, contiene il celebre mito della caverna.

Per poter governare uno Stato, e quindi per fare in modo che gli uomini imparino ad essere veri cittadini, c’è bisogno delle leggi. A questo problema Platone dedica l’ultima sua opera, le Leggi, in ben 12 libri. Platone è ormai più vivamente consapevole della debolezza della natura umana, e perciò ritiene indispensabile che anche in uno Stato bene ordinato vi siano leggi e sanzioni penali. Ma la legge deve conservare la sua funzione educativa; non deve solo comandare, ma anche convincere e persuadere della propria bontà e necessità.

 

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