Edipo re di Sofocle (497-406 a.C.) rappresentata per la prima volta tra il 425-410 a.C., ad Atene. Per Aristotele questo dramma rappresenta il punto più alto mai raggiunto dalla tragedia greca.
L’Edipo re, assieme ad Antigone e a Edipo a Colono, fa parte delle tragedie tebane, ossia relative alla saga dei Labdacidi (ovvero di Laio, Edipo e dei suoi discendenti).
Le tragedie tebane furono composte e rappresentate da Sofocle separatamente, a distanza di decenni; la loro successione cronologica non riflette il corso degli avvenimenti del mito. Infatti la più antica è l’Antigone, che rappresenta l’episodio conclusivo della storia; venne poi l’Edipo re; infine, l’Edipo a Colono.
Per capire l’opera è necessario conoscerne l’antefatto.
Edipo re di Sofocle: antefatto
Edipo è figlio di Laio, re di Tebe, e della sua sposa Giocasta. L’oracolo di Delfi rivela a Laio che il figlio avuto da Giocasta, divenuto grande, lo ucciderà. Laio allora consegna Edipo a un pastore perché lo abbandoni sulla vetta del monte Citerone. Edipo è trovato e cresciuto da Polibo, re di Corinto, e da sua moglie Peribea.
Divenuto adolescente, Edipo viene a sapere da un ospite della casa che lui non è l’erede al trono. Si rivolge all’oracolo di Delfi. Questi gli predice che ucciderà suo padre e sposerà la madre.
Per non far avverare la profezia, Edipo abbandona Corinto e si dirige verso Tebe. Lungo la strada incontra un carro guidato da un uomo in età matura che gli ingiunge di lasciargli il passo. Ne nasce un violento litigio, al termine del quale Edipo uccide il vecchio, senza sapere che in realtà si tratta del padre Laio. Si è realizzata la prima parte della profezia.
Nei pressi di Tebe, Edipo incontra la Sfinge, un mostro col volto di donna, il corpo di leone e le ali d’aquila. Essa affligge la città uccidendo tutti quelli che non sanno rispondere ai suoi enigmi.
La Sfinge gli chiede: «Qual è l’animale che ha voce, che il mattino va con quattro piedi, a mezzogiorno con due e la sera con tre?». Edipo pensa attentamente e risponde: «Quell’animale è l’uomo, che nell’infanzia si trascina carponi, nell’età adulta sta in piedi e nella vecchiaia procede appoggiandosi a un bastone». Il sortilegio è spezzato. La Sfinge, rabbiosa, si getta dalla rupe e muore.
I Tebani accolgono Edipo come un eroe e un liberatore. Poiché il loro re è stato ucciso (si tratta di Laio), il reggente Creonte gli offre il trono della città e quindi la mano di Giocasta, vedova del re ucciso (e madre di Edipo). Si è realizzata la seconda parte della profezia.
Da questo punto ha inizio l’azione scenica, il cui scopo è il «riconoscimento» sia del regicida sia della vera identità di Edipo.
Edipo re di Sofocle: la trama
Edipo regna per quindici anni, facendo prosperare il paese; genera due maschi (Eteocle e Polinice) e due femmine (Antigone e Ismene). Improvvisamene a Tebe scoppia una terribile pestilenza. Edipo ricorre all’oracolo. Questi risponde che, perché il contagio termini, si deve cacciare dalla città l’uccisore di Laio.
Edipo interroga l’indovino Tiresia per identificare il colpevole. Tiresia svela a Edipo che il colpevole è proprio lui, che tanti anni prima aveva ucciso sulla strada il re Laio, suo padre, e poi ne aveva sposato la vedova, sua madre.
Inizialmente Edipo rifiuta le parole dell’indovino Tiresia, immaginando un complotto ai propri danni tra Creonte e Tiresia per privarlo del potere.
Il successivo interrogatorio dell’unico servo sopravvissuto alla strage in cui aveva perso la vita Laio, e poi del pastore incaricato di ucciderlo quand’era ancora neonato, convincono però Edipo dell’orrenda realtà. Giocasta, la moglie-madre, intuisce tutto un attimo prima del marito-figlio, e s’impicca. Edipo si acceca con la fibbia del vestito di lei e si avvia in volontario esilio.
Commento
Edipo, figura centrale del dramma, è quasi sempre presente sulla scena. Egli rappresenta l’uomo che, sebbene del tutto innocente, la divinità ha voluto gravare dei mali e delle colpe più terribili che si possono immaginare. La sua è una storia da incubo, dove l’uomo gioca un’impossibile scommessa contro il destino.
Edipo deve essere gravato da quei mali che tenta disperatamente di evitare, perché gli altri sappiano e temano la divinità; perché non facciano facili previsioni su di sé e meditino sull’antico precetto in base al quale, prima di proclamare qualcuno felice, occorre attendere la fine della sua vita. E la fede che l’uomo ha negli dèi non deve venire meno anche quando distribuiscono simili dosi d’infelicità.
C’è dunque un profondo senso religioso in tutta questa vicenda, la cui morale è che l’uomo (Edipo) può sì imparare a decifrare gli enigmi e a dominare il dubbio (la Sfinge) con la ragione, ma non potrà mai imparare a sfuggire alla sorte prefissata, o il destino non esisterebbe.
Non è dunque l’uomo la misura di tutte le cose, come esordiva Protagora, ma il dio è misura di tutto, compreso l’uomo.