I Canti di Leopardi comprendono 41 poesie scritte tra il 1818 e il 1836. Sono contraddistinte da un numero romano e, quasi tutte, dal titolo. Leopardi le ha disposte secondo un criterio personale, spesso non tenendo conto delle date di composizione.
Il titolo della raccolta allude all’impostazione lirica dei testi. In essi infatti il poeta esprime i propri sentimenti e le proprie riflessioni, pur riservandosi di presentare queste ultime come verità valide per tutti gli esseri umani.
I Canti di Leopardi – le edizioni
La prima edizione de I Canti di Leopardi conteneva 23 componimenti e uscì nel 1831; una seconda (39 testi) fu stampata nel 1835; la terza e definitiva (41 testi) uscì postuma nel 1845.
Quali sono i Canti di Leopardi?
All’Italia e Sopra il monumento di Dante
I Canti di Giacomo Leopardi si aprono con due canzoni di argomento civile: All’Italia e Sopra il monumento di Dante. Composte entrambe nel 1818, affrontano il tema delle tristi condizioni in cui si trova l’Italia; ma già lasciano intuire come nel lamento per il dramma della propria patria Leopardi canti il suo dramma individuale, di uomo solo e incapace di reagire.
Ad Angelo Mai, Bruto Minore, Ultimo canto di Saffo
Tra le canzoni che seguono si segnalano soprattutto Ad Angelo Mai (1820), in cui il tema politico e civile è preso a pretesto dal poeta per cantare i suoi vani sogni di gloria e la sua tristezza per la scomparsa dei grandi ideali che hanno caratterizzato il mondo antico; nelle canzoni Bruto Minore (1821) e Ultimo canto di Saffo (1822) Leopardi affronta il motivo del suicidio presentandolo e cantandolo come la conseguenza estrema del crollo di ogni generosa illusione.
Il primo amore
A sigillare questa prima fase della propria attività poetica, il poeta pone un’elegia, Il primo amore (1817), il primo componimento in ordine cronologico della raccolta. In essa Leopardi esprime, nei toni piuttosto convenzionali del sentimentalismo languido allora di moda, la delusione patita in conseguenza dell’impossibile amore che egli dice di aver provato per una cugina di suo padre Monaldo, Geltrude Cassi Lazzari.
I Piccoli idilli
Segue, poi, nei Canti di Leopardi, il gruppo di quelli che sono chiamati gli Idilli, o anche Piccoli idilli: L’infinito, La sera del dì di festa, Alla luna, Il sogno e La vita solitaria.
Gli Idilli segnano un momento nuovo nella storia della lirica leopardiana. Giacomo Leopardi infatti abbandona le costruzioni macchinose delle canzoni civili e filosofiche, che pure nacquero in quello stesso giro di anni, e a esse sostituisce temi e motivi legati a situazioni quotidiane e a occasioni private e personali, e strutture espressive più semplici e agili.
Il nome stesso che individua questi componimenti è significativo. L’«idillio», infatti, era nel mondo greco un breve componimento descrittivo e, di fatto, nei suoi Idilli Leopardi prende sempre spunto dalla descrizione di un paesaggio caro al suo cuore e legato alla realtà delle sue esperienze quotidiane: un colle e una siepe; lo spettacolo di un paesaggio illuminato dalla luna; una festa paesana; il canto di un artigiano e la vita in campagna.
A questo gruppo di liriche, Leopardi, nell’edizione definitiva dei Canti, volle preporre Il passero solitario, una lirica che, pur essendo stata composta dopo il 1830, per l’argomento e per le soluzioni espressive è senz’altro riconducibile a questi anni giovanili.
Alla sua donna e Al conte Carlo Pepoli
Nei sei anni che vanno dal 1822 al 1828 Leopardi si dedica alla prosa delle Operette morali e compone solo due testi poetici: Alla sua donna e Al conte Carlo Pepoli.
I Grandi idilli
Nella primavera del 1828 Leopardi ritorna alla poesia, componendo in poche settimane, a Pisa, Il risorgimento e A Silvia. Nei due anni successivi, a Recanati, nasceranno Le ricordanze, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia, La quiete dopo la tempesta, Il sabato del villaggio. Sono una serie di liriche che i critici hanno voluto battezzare i Grandi idilli per indicare come esse si ricolleghino per contenuto, per forma e per ispirazione, ai modi e ai temi degli Idilli giovanili.
Il pensiero dominante, Amore e morte, A se stesso, Aspasia, La ginestra
Nell’aprile del 1830, Leopardi lasciò definitivamente Recanati e, negli anni successivi, avviò e visse l’ultima fase della sua lirica. Gli ultimi anni di vita videro il poeta stanco e malato, ma non rassegnato. Così, dopo aver cantato in alcune liriche il proprio entusiasmo di fronte alla speranza che l’amore per una donna potesse aiutarlo a sconfiggere la propria angoscia – Il pensiero dominante (1831) e Amore e morte (1832) – e dopo aver pianto, insieme al proprio dolore, la caduta anche di quell’estrema illusione – A se stesso (1833) e Aspasia (1834) -, Leopardi compone La ginestra (1836), la più complessa delle sue liriche.
La ginestra suggella con il suo grandioso messaggio l’intera raccolta dei Canti; per volontà del poeta è collocata dopo Il tramonto della luna (1837) che pure dovrebbe essere l’ultima se, come testimonia Antonio Ranieri, fu terminata dal poeta sul letto di morte.