Le Operette morali di Leopardi sono una raccolta di 24 componimenti in prosa scritti tra il 1824 e il 1832 e pubblicate in edizione definitiva nel 1835. Si tratta di 24 piccoli trattati filosofici sotto forma di favole, svolte per lo più in forma di dialogo.
Quali sono i temi trattati?
Nelle Operette morali Leopardi tratta di argomenti filosofici. I temi trattati, che segnano l’approdo al pessimismo storico, sono: la nullità del genere umano; la necessità del male; la natura indifferente; la superbia sciocca degli uomini; la vana ricerca della felicità; la noia come desiderio sempre insoddisfatto del piacere.
Il pensiero non è esposto in modo sistematico e dottrinale, ma attraverso invenzioni fantastiche e tipologie discorsive diverse. Infatti, alcuni sono dialoghi, altri assumono la forma narrativa della favola, altre sono prose liriche o ancora raccolte di aforismi.
La prosa limpida mostra il rigore intellettuale e il distacco ironico con cui Giacomo Leopardi, in questa fase del suo pensiero, contempla la tragica condizione dell’uomo.
Operette morali: quali sono?
Qui di seguito troverai Operette morali riassunto dei 24 testi con una sintesi dei temi trattati.
Storia del genere umano
Le Operette morali si aprono con la Storia del genere umano.
Posti dagli dèi in un mondo senza varietà, gli uomini si annoiano al punto di arrivare a uccidersi.
Gli dèi rendono allora più variato l’aspetto delle cose, ottenendo un giovamento solo provvisorio. Infine Giove si decide a infondere sulla Terra dolori e malattie, spargendo desideri nuovi per soddisfare i quali gli uomini siano costretti a fatiche inaudite; inoltre sparge tra gli uomini alcuni «fantasmi», quali Giustizia, Virtù, Gloria, Amor patrio.
Tutto ciò ottiene risultati assai migliori e più duraturi che in passato, ma infine gli uomini si stancano anche di questo stato, divenendo fra l’altro crudeli e malvagi, e desiderando in ogni modo di conoscere la Verità, della quale la Sapienza ha spesso parlato loro.
È così che Giove manda tra gli uomini la Verità, richiamando a sé tutti gli altri geni. E per non rendere troppo terribile la sorte lascia sulla Terra Amore, unica entità capace di resistere al potere distruttivo della Verità.
Consolati dall’illusione dell’Amore, gli uomini vivono da quel momento nella più completa e consapevole infelicità, benché tentino poi in ogni modo di rifiutare ciò che la Verità insegna loro. Resta solo la possibilità eccezionale che si venga visitati da Amore celeste, una divinità che sceglie rarissimi viventi davvero meritevoli, consolandoli delle miserie della vita.
Dialogo di Ercole e di Atlante
Si ironizza sulla mancanza di vitalità e sull’apatia degli uomini sulla Terra. I due personaggi mitologici, Ercole e Atlante, si mettono a giocare a palla con il nostro pianeta facendolo perfino cadere, senza che nessun essere umano se ne accorga.
Dialogo della Moda e della Morte
La Moda ricorda alla Morte che sono sorelle, entrambe figlie della Caducità. La Morte cancella gli uomini nella loro totalità; la Moda muta le loro cose, le fogge nel vestire, crea in continuazione espedienti per abbellirli, e in questo contrastare la natura, correggerla, volgerla al proprio piacere è la più fedele alleata della Morte, perché seguendo lei l’uomo si allontana dalla natura, si corrompe, mette in opera pratiche che lo fanno morire più in fretta, è addirittura già morto prima ancora di morire.
Proposta di premi fatta all’Accademia dei Sillografi
Ironizza intorno al mito del progresso e smaschera i valori illusori. In essa si propone l’invenzione di esseri artificiali, dotati di alcune virtù (come l’amicizia e la fedeltà) tanto professate dagli uomini ma assenti tra di essi.
Dialogo di un folletto e di uno gnomo
Viene derisa l’illusione antropocentrica, che consiste nel credere che l’uomo sia al centro dell’universo e che – metaforicamente – l’universo ruoti intorno a lui.
Dialogo di Malambruno e di Farfarello
Il tema è quello dell’infelicità umana e dello squilibrio tra desideri e loro realizzabilità.
Il diavolo Farfarello nega di poter dare all’interlocutore, che lo ha evocato, l’unica cosa che gli interesserebbe: la felicità, sia pure per un solo attimo. E conferma la natura infelice, perché necessariamente insoddisfatta, della vita umana.
Dialogo della Natura e di un’anima
Qui il medesimo tema del precedente. Dialogando con un’anima destinata a essere grande nella vita terrena, la Natura le annuncia di doversi attendere maggiore infelicità. Infatti quanto maggiore è la grandezza di un animo, tanto maggiore è la sua sensibilità, e dunque tanto più intensa la sua ricerca di piacere.
Ne consegue infine che, essendo il piacere irrealizzabile e ciò determinando infelicità, la maggiore grandezza comporta maggiore infelicità. Persuasa del destino che la aspetta, l’anima prega infine la Natura di destinarla al «più stupido e insensato spirito umano» e di affrettarne la morte.
Dialogo della Terra e della Luna
Il bersaglio polemico è ancora una volta l’antropocentrismo. Nel dialogo, però, le due dialoganti si rendono conto che una cosa in comune almeno ce l’hanno, ed è l’infelicità delle forme di vita che ospitano. La riflessione sul dolore si allarga qui in prospettiva cosmica.
La scommessa di Prometeo
Prometeo sostiene che l’uomo è l’essere più perfetto dell’Universo, ma Momo non è d’accordo. Ne nasce una scommessa, da risolvere verificando nei cinque continenti, a caso, la condizione degli uomini.
Il primo assaggio avviene in America, dove i due trovano un gruppo di indigeni antropofagi intenti a cibarsi dei propri figli; il secondo in Asia, dove assistono a un rito funebre che impone alla moglie di essere bruciata viva sul rogo dove viene arso il marito morto. Il terzo tentativo porta i due a Londra. Qui vengono a sapere da un servitore che il suo padrone, ricchissimo e senza alcuna sventura, ha ucciso se stesso e i due figli «per tedio della vita», raccomandando a un parente il suo cane. E così Prometeo paga a Momo la scommessa senza voler vedere i due continenti che restano.
Dialogo di un fisico e di un metafisico
Il metafisico (cioè il filosofo) convince il fisico (cioè lo scienziato moderno) che la sua invenzione, atta ad allungare la durata della vita umana, non è affatto buona. Sarebbe piuttosto da inventare qualcosa che accorci la vita, rendendola però più fitta di eventi atti a distrarre l’uomo dalla noia, moltiplicando di numero e di forza le sensazioni e le azioni.
Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare
Parla uno dei poeti più amati da Leopardi, ricollegandosi al dialogo di Torquato Tasso Il Messagero (in cui Tasso racconta della visita di uno spiritello benefico durante la sua prigionia di Sant’Anna).
Il tema è ancora una volta quello dell’infelicità. Il piacere cui l’uomo aspira non si dà mai nel presente, ma viene sempre proiettato nel futuro in forma di speranza o nel passato in forma di rimpianto.
Il maggior bene per gli uomini è dunque di figurarsi intensamente la realizzabilità di quelle cose cui aspirano, piuttosto che assistere alla loro effettiva realizzazione, sempre deludente. Il male maggiore è invece la noia, «il desiderio puro della felicità», contro cui gli unici rimedi sono «il sonno, l’oppio, e il dolore».
Dialogo della Natura e di un Islandese
L’islandese ha fuggito tutta la vita la Natura, convinto che essa perseguiti gli uomini rendendoli infelici. Ma benché l’abbia fuggita ne è tuttavia stato perseguitato di continuo. Infine si imbatte proprio nella Natura, una inquietante figura gigantesca di donna. Nel dialogo tra i due emerge la completa indifferenza della Natura al bene e al male degli uomini. Per un approfondimento leggi Dialogo della Natura e di un Islandese riassunto e analisi.
Il Parini, ovvero della gloria
Tra le Operette morali, è il testo più lungo.
Si compone di dodici capitoletti in cui si finge che il poeta Giuseppe Parini rivolga a un discepolo alcune considerazioni sull’attività dello scrittore e sulla letteratura.
Ne emerge una rappresentazione desolata della vita culturale moderna, sottoposta a leggi e sistemi che non tengono più in nessun conto il valore reale dei prodotti. In particolare il conseguimento della gloria è tutt’altro che indolore: anche quando riuscisse, sarebbe infatti amareggiato dalle meschinità della società contemporanea. Tuttavia l’invito finale esclude ogni forma di disimpegno, rilanciando quella prospettiva etica eroica che caratterizza la posizione leopardiana: «Ma il nostro fato, dove che egli ci tragga, è da seguire con animo forte e grande».
Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie
Affronta il tema della morte. I morti dichiarano di fuggire la vita come da vivi fuggivano la morte; e dichiarano ora di essere più al sicuro dai mali dell’esistenza, benché tanto la morte quanto la vita neghino agli uomini ogni forma di felicità.
Con i morti si mette a dialogare lo scienziato Federico Ruysch, approfittando di un quarto d’ora in cui eccezionalmente è concesso ai morti di rispondere ai vivi. Le curiosità del vivo riguardano l’esperienza del morire e della morte. Ma le risposte sono insoddisfacenti: il morire non si accompagna a nessuna sensazione, e anzi coincide con la cessazione di tutte le sensazioni; la morte è l’assenza di ogni energia vitale.
Dunque, la morte è piuttosto un evento piacevole che doloroso: riducendo e annullando la sensibilità, e perciò il desiderio del piacere, toglie anche la facoltà di soffrire e di percepire l’insoddisfazione del desidierio.
Detti memorabili di Filippo Ottonieri
Filippo Ottonieri è un personaggio d’invenzione, attraverso cui Leopardi denuncia le ipocrisie sociali e la difficoltà per l’individuo di adeguarsi alle leggi della società.
Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Guttierez
Compaiono quali dialoganti personaggi storici reali: Cristoforo Colombo e un suo compagno di viaggio, Pietro Gutierrez.
I due marinai dialogano durante una tranquilla notte di navigazione, sullo sfondo del grande viaggio verso l’ignoto. I temi fondamentali riguardano il rapporto tra la piccolezza e lo smarrimento dell’uomo nell’universo e l’utilità dell’azione per vincere l’insensatezza della vita.
Elogio degli uccelli
Sono esaltate la possibilità per gli uccelli di mutare continuamente luogo attraverso il volo e di sfuggire così alla noia che deriva dall’assuefazione. Altro dono riservato dalla natura agli uccelli è il canto, espressione eccezionale di lietezza sullo scenario squallido della natura universale.
Cantico del gallo silvestro
È l’ultima, tra le Operette morali, composta nel 1824. Riassume alcuni temi portanti del libro: la radicale materialità dell’esistenza; il prevalere insensato del male e del dolore; l’assenza della felicità; la superiorità della morte sulla vita, del sonno sulla veglia, dell’inconscienza sulla coscienza, del non essere sull’essere.
La rappresentazione conclusiva della fine dell’universo stende il dominio del nulla sul futuro dell’uomo.
Frammento apocrifo di Stratone da Lampsaco
Composta nel 1825, è presentata quale traduzione da un manoscritto greco. Si divide in due parti: «Della origine del mondo» e «Della fine del mondo».
Dialogo di Timandro e di Eleandro
Concludeva la prima edizione (1827) delle Operette morali.
I nomi dei due interlocutori hanno radice greca e significano “colui che onora l’uomo” (Timandro) e “colui cha ha pietà dell’uomo” (Eleandro).
Il primo, Timandro, rappresenta il punto di vista delle ideologie moderate progressive; il secondo, Eleandro, incarna il punto di vista del pessimismo leopardiano.
Eleandro sostiene il dovere di conoscere e proclamare il vero, fosse anche doloroso per gli uomini; e accusa le forme misere attraverso cui questi mistificano la vera infelicità della propria condizione e si consolano con illusioni puerili. Viene qui per altro rivendicata l’utilità del riso, offrendo un chiarimento teorico delle ragioni che fondano il prevalente taglio ironico delle Operette.
La conclusione riafferma infine il valore della vitalità, dell’azione e delle generose illusioni, nonché il pregio dei «pensieri nobili, forti, magnanimi, virtuosi, ed utili al ben comune e privato».
Il Copernico
Stanco di ruotare attorno alla Terra (ritenuta a lungo immobile al centro dell’universo), il Sole induce lo scienziato Copernico a convincere la Terra a mettersi in movimento, così da girare lei attorno al Sole. In tal modo Leopardi deride la certezza con la quale gli uomini adeguano il proprio modo di pensare alle opinioni dominanti.
Dialogo di Plotino e di Porfirio
Viene affrontata la questione del suicidio. Plotino si è reso conto che l’amico ha intenzione di uccidersi e tenta di dissuaderlo.
Discorrendo della vita, i due filosofi neoplatonici convengono in un giudizio radicalmente negativo: solamente la noia dà il senso reale dell’esistenza umana e della sua insensatezza. Plotino adduce tuttavia i vari argomenti classici contro il suicidio, ma Porfirio li smonta uno ad uno; in particolare nega che il suicidio sia contro natura, dato che contro natura è la condizione stessa dell’uomo, creato con un bisogno inesauribile di felicità e destinato senza possibile eccezione a essere infelice. Infine non è ad argomenti filosofici che Plotino affida il tentativo conclusivo di persuadere Porfirio a rinunciare alla morte, ma ad argomenti pragmatici e sociali: il suicidio accresce l’infelicità dei viventi, provocando un enorme aumento di dolore nelle persone care del suicida.
Si delinea così la natura schiettamente sociale della morale leopardiana: proprio perché vivere è un male, il dovere degli uomini è di collaborare insieme per rendere più sopportabile la «fatica della vita»: di tenersi compagnia, confortarsi, incoraggiarsi e aiutarsi a vicenda.
Dialogo di un venditore di almanacchi e di un passeggere
Ripropone e sviluppa uno dei temi centrali del pensiero leopardiano: l’assoluta inesistenza, per l’uomo, della felicità.
Un popolano vende per le strade i calendari per l’anno nuovo e un passante si ferma a parlare con lui. Il passante è un uomo colto e sicuramente esperto delle cose della vita; adattandosi alla mentalità semplice e ingenua del suo interlocutore, induce il venditore a riflettere sulla realtà dell’umana esistenza.
Dopo aver fatto ammettere al venditore che egli, come tutti, sarebbe più che mai contento di ritornare a vivere gli anni passati ma solo a patto che siano anni nuovi, diversi da quelli già vissuti, lo porta a riconoscere che la vita è sempre per tutti un cumulo di dolori e di sventure e che «la vita che è una cosa bella» è «la vita futura», quella che non si conosce e circa la quale ci si può illudere.
Dialogo di Tristano e un amico
Tristano, alter-ego di Leopardi, finge di ritrattare le sue concezioni pessimisiche sull’infelicità umana e di accettare le opinioni ottimistiche del suo tempo. Nell’ultima pagina però Leopardi abbandona la finzione ironica e concentra il discorso su se stesso, sulla propria assoluta infelicità. L’operetta si conclude con un’invocazone alla morte come liberazione.