La Prima Guerra del Golfo cominciò il 2 agosto 1990, quando il dittatore dell’Iraq Saddam Hussein invase il piccolo e confinante Emirato del Kuwait, uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio, tradizionalmente filo-occidentale, e ne proclamò l’annessione alla Repubblica irachena.
L’invasione del Kuwait traeva pretesto da antiche rivendicazioni territoriali, ma in realtà mirava al controllo del 40% delle risorse petrolifere mondiali. Fu subito condannata dalle Nazioni Unite che decretarono l’embargo nei confronti dell’aggressore.
Contemporaneamente, gli Stati Uniti inviavano in Arabia Saudita un corpo di spedizione che sarebbe giunto a contare oltre 400.000 uomini: ciò al doppio scopo di difendere gli Stati arabi minacciati e di premere su Saddam Hussein per costringerlo a ritirarsi. Alla spedizione si univano anche alcuni Stati europei (Gran Bretagna, Francia e, in misura più limitata, l’Italia) e una parte dei paesi arabi fra cui Egitto e Siria, mentre l’Iran manteneva una prudente neutralità.
Decisivo fu l’atteggiamento dell’Unione Sovietica: in analoghe occasioni si era schierata a fianco del nazionalismo arabo, ma Gorbacëv, alle prese con la crisi interna che di lì a poco avrebbe portato alla dissoluzione dell’Urss e bisognoso dell’appoggio occidentale, non si oppose all’intervento armato.
Saddam Hussein si presentò come il vendicatore delle masse arabe oppresse e come il banditore di una guerra santa contro l’Occidente. L’appello trovò notevole eco fra le masse di molti paesi arabi, in particolare fra i palestinesi dell’Olp, il cui leader, Arafat, si schierò a fianco dell’Iraq.
Alla fine di novembre il Consiglio di sicurezza dell’ONU approvava a stragrande maggioranza, e col voto favorevole dell’Urss, una risoluzione che imponeva all’Iraq di ritirarsi dal Kuwait entro il 15 gennaio, autorizzando in caso contrario l’impiego della forza.
Nella notte fra il 16 e il 17 gennaio 1991 l’ONU autorizzò un violento attacco aereo contro obiettivi militari in Iraq e nel Kuwait occupato. Saddam rispose lanciando missili con testate esplosive sulle città dell’Arabia Saudita e di Israele (che pure era rimasto estraneo al conflitto) e minacciò il ricorso alle armi chimiche.
Alla fine di febbraio, dopo quaranta giorni di bombardamenti, scattava l’offensiva di terra contro le forze irachene in Kuwait. Furono costrette ad abbandonare il paese, non prima, però, di averne incendiato gli impianti petroliferi, con conseguenze gravissime sull’economia e sugli equilibri ecologici della regione.