La Seconda Guerra del Golfo in Iraq fu combattuta a dodici anni di distanza dalla Prima Guerra del Golfo e a un anno e mezzo dagli attacchi terroristici dell’11 settembre 2001.
Fortemente voluta dal presidente degli Stati Uniti George W. Bush jr., egli sosteneva che essa era necessaria per combattere il terrorismo, per sottrarre al dittatore iracheno Saddam Hussein le armi di distruzione di massa (chimiche e biologiche) e per riportare la democrazia in Iraq.
Dopo un infruttuoso negoziato tra Onu (che non diede il suo consenso alla guerra) e Iraq, Stati Uniti e Gran Bretagna cominciarono a preparare un’operazione militare.
Su questa decisione la comunità internazionale si divise: da una parte Stati Uniti, Gran Bretagna e Spagna, determinati all’uso della forza; dall’altra Francia, Germania, Russia, Cina e Stati arabi favorevoli a una soluzione diplomatica.
La Seconda guerra del Golfo cominciò il 20 marzo 2003, quando i primi missili statunitensi colpirono Baghdad. Nei giorni seguenti le truppe anglo-americane cominciarono ad avanzare in Iraq dalla frontiera meridionale; la resistenza dell’esercito iracheno fu debole e male organizzata: il 9 aprile i marines americani conquistarono la capitale e, pochi giorni dopo, anche le città principali del paese. Saddam Hussein fuggì e il regime si sfaldò all’istante.
Il 1° maggio 2003, il presidente Bush dichiarò che la guerra era vinta.
Il 13 maggio 2003, il leader iracheno Saddam Hussein fu catturato. Il 5 novembre 2006 venne condannato all’impiccagione. L’accusa fu di crimini contro l’umanità, una delle più gravi imputazioni contemplate dal diritto internazionale. All’alba del 30 dicembre del 2006 Saddam fu impiccato. Non furono tuttavia mai ritrovate armi chimiche o biologiche.
La pacificazione del paese si rivelò lenta e difficile. Ci furono infatti decine di attentati e attacchi armati quasi ogni giorno non solo contro le truppe di occupazione, ma anche tra fazioni politiche e comunità etniche e religiose avverse (arabi contro curdi, sciiti contro sunniti).
La guerra di resistenza degenerò in guerra civile, provocando decine di migliaia di vittime, centinaia di migliaia di feriti e incalcolabili danni economici e sociali.
Si avverarono dunque le previsioni negative dei paesi (in primo luogo Francia e Germania) che fin dall’inizio si erano schierati contro la decisione unilaterale degli Stati Uniti di invadere l’Iraq.
Solo a partire dal 2005-06 alcuni stati cominciarono a ritirare i loro contingenti militari dal paese (Spagna e Italia), mentre le ultime unità statunitensi e britanniche se ne andarono nel 2011.