Tema sulla guerra: la guerra giusta. Quando la guerra è giustificata? Di seguito la proposta di un tema argomentativo sulla guerra, adatto per la terza media.
Tema sulla guerra: la guerra giusta
Fin dall’antichità la guerra era stata considerata un evento normale, come l’alternarsi delle stagioni. La condizione assoluta della convivenza pacifica, priva di armi e di violenza, era proiettata in un lontanissimo passato, la mitica «età dell’oro». La guerra era un’esperienza consueta ma tutte le società, persino le più brutali e bellicose, si interrogavano sul rapporto tra guerra e giustizia.
I Romani, che con la forza dei loro eserciti avevano conquistato il mondo, avevano approfondito le caratteristiche della guerra giusta (bellum iustum). Cicerone, il grande uomo politico e oratore del I secolo a.C., la riassume in questo modo: uno stato retto secondo giustizia intraprende guerre per mantenere fede ai trattati o per la propria salvezza; si può considerare guerra giusta quella che si intraprende per riparare un torto subito o per respingere un nemico; né vi può essere guerra giusta se prima non è annunciata, dichiarata, preceduta da richiesta di riparazione.
La guerra giusta, secondo Cicerone, non è, quindi, un assalto indiscriminato a un altro popolo, ma deve avere delle ragioni (la difesa, la riparazione di un torto subito), deve prima escludere una soluzione pacifica, deve seguire delle procedure.
Con la diffusione del cristianesimo, le riflessioni sulla natura della guerra si arricchirono e si complicarono. Com’era possibile conciliare l’amore universale con lo spargimento di sangue umano? La Chiesa non arrivò mai a ripudiare la guerra in quanto tale, e si sforzò piuttosto di ricondurla entro la sfera della morale. Un momento importante nella riflessione etica e teologica sulla guerra è rappresentato dall’opera di Agostino (IV-IV secolo d.C.).
Agostino ragionò soprattutto sulle motivazioni delle guerre: la guerra giusta era intrapresa per difendersi da un’aggressione, per vendicare un torto, per recuperare beni sottratti. Il sovrano che combatteva una guerra giusta agiva per conto di Dio, e la sua azione era ispirata dall’amore. Quella ingiusta era invece mossa dalla cupidigia, e in quanto tale non era diversa dal ladrocinio.
Questa impostazione ispirò i precetti cristiani relativi alla guerra durante il Medioevo. Per Tommaso d’Aquino (XIII secolo) una guerra è giusta a tre condizioni, quando:
- la dichiarazione di guerra è fatta dall’autorità legittima;
- sussiste una “giusta causa”;
- le intenzioni di chi fa la guerra sono rette.
A esse si deve aggiungere una quarta, che la guerra sia necessaria, che cioè non esistano altri mezzi per farsi giustizia. Questa dottrina fu ampiamente e lungamente contestata, perché è fin troppo evidente che sia la sussistenza della giusta causa che la bontà delle intenzioni sono qualcosa di estremamente soggettivo: chi giudica dell’esistenza dell’una e dell’altra, se non esiste un diritto universalmente riconosciuto? Di fatto una guerra può apparire “giusta” da entrambe le parti in conflitto.
Ecco perché alla teoria del ius ad bellum (il diritto di fare la guerra, cioè la sua legittimità) ben presto si sostituì la teoria del ius in bello (cosa è lecito fare in guerra, vale a dire la condotta della guerra). Se non è possibile evitare le guerre, perché ogni Stato riesce a “giustificare” il suo intervento, cerchiamo almeno di fissare delle regole che in guerra tutti devono rispettare, per esempio la distinzione tra combattenti e civili e conseguentemente il dovere di salvaguardare l’incolumità dei secondi, il divieto di uso di armi improprie, il rispetto dei prigionieri, cioè dei combattenti resi inoffensivi.
Con la creazione della Società delle Nazioni (1919) prima, e soprattutto con la Carta costitutiva delle Nazioni Unite (ONU, 1945) poi, la guerra come strumento di soluzione dei conflitti è dichiarata illecita, fatta eccezione per la legittima difesa e per la tutela della sicurezza internazionale. Per conseguenza nessuna guerra può essere giusta se manca il consenso della comunità degli Stati. Ma quali sono i casi in cui la comunità internazionale può dare il consenso?
Negli ultimi decenni questa domanda è diventata di grande attualità in occasione di alcune gravi crisi internazionali. Dopo la seconda guerra mondiale e il processo di Norimberga contro i criminali nazisti sembra rinata a nuova vita la teoria della guerra giusta. Una teoria che i pacifisti contestano, perché non afferma l’intollerabilità di tutte le guerre, ma conferma la legittimità di alcune.
Contro i pacifisti, i nuovi teorici della guerra giusta sostengono che, se è vero che in linea di principio dal mondo dovrebbero essere eliminate tutte le forme di guerra e di violenza, nondimeno vi sono momenti in cui non resta che la forza per fermare la violenza e la giustizia. Naturalmente, essi aggiungono, a nessuno intervento può mancare il consenso della comunità internazionale e tutti devono rispettare le regole del ius in bello (cosa è lecito fare in guerra, vale a dire la condotta della guerra).
Si impongono allora nuovi interrogativi: quali sono le condizioni che rendono necessario l’intervento? In quali casi l’intervento si rende indispensabile?
Come si vede il criterio di una guerra giusta è difficile da definire ed è sempre discutibile. Ci aiuta la Costituzione italiana: per un approfondimento leggi La guerra nella Costituzione italiana.