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Seneca – De brevitate vitae capitolo 9 – Traduzione

De brevitate vitae capitolo 9 – Traduzione completa del De brevitate vitae capitolo 9. L’opera De brevitate vitae fa parte dei Dialoghi di Seneca.

Nel De brevitate vitae capitolo 9, in un suggestivo richiamo al carpe diem oraziano, Seneca afferma che è inutile programmare la propria esistenza, predisponendo ciò che è nelle mani della sorte. In questa perenne attesa di un futuro che vorremmo ricco di cose belle fuggono gli anni migliori; e arriva poi la vecchiaia, senza che ce ne rendiamo conto.

[1] Può forse esserci qualcosa di più stolto del pensiero di quegli uomini, che ostentano la loro previdenza? Sono più operosamente affaccendati: per poter vivere meglio, programmano la vita a spese della vita. Fanno progetti per un lungo periodo di tempo; e invece il rinvio è la più grande perdita di vita: esso ci porta via tutti i giorni che viviamo, esso ci scippa il presente mentre promette il futuro. Il più grande impedimento alla vita è l’attesa, che dipende dal domani e rovina il presente. Tu organizzi ciò che è nelle mani del destino, fai andar via ciò che è nelle tue. A che cosa miri? Dove ti protendi? Tutto ciò che dovrà venire giace nell’incertezza: vivi subito.

[2] Ecco, grida il poeta più grande e, come eccitato da una voce divina, canta un carme di salvezza:

Tutti i giorni più belli per i miseri

mortali sono i primi a fuggire

«Perché indugi?» dice «Perché sei inerte? Se non lo afferri, se ne va». E pure quando l’avrai afferrato, fuggirà in ogni caso: pertanto bisogna lottare con la celerità del tempo adoperandolo con rapidità e bisogna attingere in fretta, come da un torrente rapido che non sempre potrà scorrere.

[3] Anche  questo va benissimo, per biasimare un temporeggiamento senza fine, il fatto che non dice ogni più bella “età”, ma ogni giorno più bello. Perché tu, tranquillo e indifferente in una così grande fuga del tempo, ti riprometti mesi e anni in una lunga serie, come è sembrato opportuno alla tua avidità? parla di un giorno con te, e di un giorno che fugge.

[4] C’è forse il dubbio, dunque, che tutti i giorni più belli fuggano per primi ai mortali miseri, cioè affacendati? Si abbatte sui loro animi ancora infantili la vecchiaia, alla quale arrivano impreparati e inermi. Nulla infatti è stato previsto: d’un tratto ci sono caduti dentro quando non se l’aspettavano, non capivano che essa ogni giorno si avvicina.

[5] Come o un discorso o una lettura o una riflessione molto intensa inganna chi sta facendo un viaggio e s’accorge di essere arrivato prima che di essersi avvicinato, così questo viaggio della vita, continuo e velocissimo, che facciamo quando siamo svegli o quando dormiamo, agli affacendati non appare se non alla fine.

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