Il termine animismo indica i culti di origine tribale, ancora oggi assai diffusi nel mondo. Fu coniato nel 1867 dall’antropologo inglese E. B. Tylor per designare quelle credenze religiose di antichissima origine che attribuiscono un’anima a tutti gli esseri e a tutti gli elementi della natura.
I culti animisti sono per lo più praticati dalle popolazioni non ancora raggiunte – o non profondamente condizionate – dalle forme moderne di civiltà.
Nel mondo gli animisti sono sparsi nell’America latina e nell’estremo Nord del continente americano, in Africa centrale e meridionale, in Siberia, in Asia centrale e orientale, in Indonesia, Australia e Nuova Zelanda.
L’animismo non è un unico sistema di riti e di credenze. Tuttavia, i culti animisti hanno in comune due elementi fondamentali:
- il rispetto sacrale della natura;
- la venerazione degli antenati.
Animismo: il rispetto sacrale della natura
La natura è «sacra» perché è animata da uno spirito vitale, una specie di «respiro cosmico» presente in ogni creatura ed elemento naturale. Tra tutti gli esseri, l’uomo ha un ruolo privilegiato: è il mediatore tra il mondo naturale e le forze soprannaturali.
L’essere soprannaturale e supremo è, ad esempio, per i bantu dell’Africa orientale Mulunga («colui che sta in cielo»), per gli ewe del golfo di Guiniea è Mawu («colui che sta sopra ogni cosa»); per gli ottentotti è Tsui-Goab.
La divinità è irragiungibile ma presente e condiziona l’intera vita degli uomini.
La venerazione degli antenati
Gli antenati non sono presenti solo nel ricordo, ma partecipano direttamente all’esistenza dei discendenti, come «esseri invisibili» che condividono le sorti dei viventi.