Aureliano nacque a Sirmio, nell’odierna Serbia, nel 214 d.C., da una famiglia di modeste condizioni.
Entrò da ragazzo nell’esercito romano e nel 270 fu acclamato imperatore dalle legioni di Sirmio. Dotato di grande fermezza e intelligenza, si propose tre scopi:
- ricostituire l’unità dell’Impero di Roma, spezzata dal formarsi di due stati indipendenti: l’impero della Gallia, tenuto allora da Tetrico, e il regno di Palmira, tenuto da Zenobia;
- riordinare l’amministrazione e sanare le finanze dello Stato;
- cacciare i Barbari e assicurare le frontiere.
Nel 271 e nel 272 Aureliano vinse, in Italia e sul Danubio, la popolazione germanica degli Iutungi. Nello stesso tempo, voltosi contro Palmira, detronizzò Zenobia e suo figlio e, nel 273, annientò definitivamente la città. In questo stesso anno sottomise Tetrico.
Nel 274 respinse nuovamente i Germani sul Danubio, ma nel 275 dovette rinunciare alla Dacia, del tutto circondata dai Barbari.
Aureliano represse gli intrighi del senato, che tentava di riacquistare l’antico prestigio nella vita dello Stato. Vegliò personalmente sull’esercizio della giustizia. Tra il 271 e il 273 fece circondare Roma da un’imponente cerchia muraria che porta il suo nome (Mura Aureliane), per difenderla dai Barbari.
Con l’istituzione dei correctores (governatori) regionali e permanenti assimilò definitivamente l’Italia alle province. Qui ai legati senatoriali sostituì governatori di rango equestre (praesides).
Le province riconquistate e numerose confische consentirono il miglioramento della situazione finanziaria, cui contribuì anche il controllo esercitato dall’imperatore sulla lega e sul peso delle monete.
Attribuì alla propria persona carattere divino e si pose sotto la protezione del Sole, Sol invictus. Pretese di essere chiamato deus et dominus. Primo fra gli imperatori, apparve nelle cerimonie con un diadema e un abito ornato d’oro e di pietre preziose.
Alla fine dell’estate del 275, mentre si apprestava a partire per una spedizione contro i Persiani, fu assassinato da uno dei sui segretari, per vendetta privata.