I primi testi letterari in volgare italiano risalgono all’XI-XII secolo e quasi tutti provengono dal mondo giullaresco.
Il giullare si esibisce nelle strade, nelle piazze, oppure nei palazzi aristocratici durante le feste private e intrattiene il pubblico con diversi tipi di esibizioni; egli è infatti giocoliere, attore, mimo e cantante. Il giullare si esprime in volgare, cioè la lingua parlata dal vulgus, il popolo, distinto dal latino, che è la lingua usata dalla ristretta cerchia degli intellettuali. Per un approfondimento leggi Giullare: chi era e cosa faceva.
I primi testi letterari in volgare italiano sono:
Ritmo laurenziano, detto così perché conservato in un codice della Biblioteca Laurenziana di Firenze. È un testo giullaresco databile fra il 1151 e il 1157. L’autore è un giullare toscano, che chiede a un vescovo (forse il vescovo di Pisa) il dono di un cavallo.
Il Ritmo su Sant’Alessio e il Ritmo cassinese sono entrambi del secolo XII e provengono dall’ambiente benedettino.
Il Ritmo su Sant’Alessio è ora conservato nella Biblioteca Comunale di Ascoli Piceno; il testo racconta la leggenda del santo ed è incompleto.
Il Ritmo cassinese è un testo monastico in veste «giullaresca», cioè un poemetto che, attraverso un dialogo tra un saggio proveniente da Oriente e un uomo d’Occidente, condanna lo spirito sensuale e mondano. È conservato nell’Abbazia di Montecassino.
Il più bello di tutti sarà il Cantico di Frate Sole o Cantico delle Creature, composto da san Francesco d’Assisi nel XIII secolo.
Tuttavia l’uso del volgare in testi letterari nel secolo XIII non significò la sostituzione del volgare al latino né il riconoscimento della validità del volgare per ogni forma di espressione letteraria.
In realtà, per tre secoli, mentre si sviluppò una ricca letteratura in volgare grazie a immortali capolavori, come la Divina Commedia di Dante, il Canzoniere del Petrarca e il Decameron del Boccaccio, il latino continuò a essere ritenuto e usato come la lingua dei dotti, la lingua della sapienza.
Da Dante alla fine del XV secolo avverrà un processo graduale di riconoscimento dei diritti del volgare come lingua letteraria. Tale riconoscimento avrà piena e definitiva conferma nei primi decenni del secolo XVI soprattutto ad opera di Pietro Bembo.