De finibus bonorum et malorum (Il sommo bene e il sommo male) trattato filosofico di Marco Tullio Cicerone. Composto nel 45 a.C. e dedicato a Marco Giunio Bruto, si compone di cinque libri.
L’interessante problema in discussione nel De finibus bonorum et malorum riguarda la determinazione del sommo bene, apportatore agli uomini della vera felicità. La discussione si svolge in tre dialoghi collocati in tre luoghi distinti (Cuma, Tuscolo e Atene), in ciascuno dei quali Cicerone ha interlocutori diversi.
Nel primo dialogo (libri I-II), Manlio Torquato, rigorosamente confutato da Cicerone, espone la concezione epicurea che il sommo bene va riposto nel piacere.
Nel secondo dialogo (libri III-IV) Catone l’Uticense, anche lui oggetto di obiezioni da parte di Cicerone, sostiene il prinicipio stoico che la felicità consiste nella virtù, intesa come pratica di vita conforme alle norme della ragione naturale.
Il terzo dialogo (libro V) si tiene ad Atene nella sede dell’Accademia, la scuola filosofica fondata da Platone. Pupio Pisone, esponendosi anche lui a qualche critica, illustra l’opinione degli accademici e dei peripatetici, per i quali l’uomo, composto di materia e di spirito, raggiunge il sommo bene attraverso la salute del corpo e la perfezione dell’anima.
È questa la teoria più vicina al pensiero di Cicerone.