La ginestra Leopardi, parafrasi completa della lirica composta nella primavera del 1836 e inserita nei Canti.
La ginestra parafrasi prima strofa (vv. 1-51)
Profumata ginestra, che ti appaghi dei luoghi deserti, tu spargi intorno i tuoi cespi solitari qui sul fianco arido del monte Vesuvio, terrificante annientatore, che nessun altro albero né fiore rallegra.
Ti ho visto abbellire con i tuoi rami anche i borghi abbandonati che circondano la città (Roma) che fu in passato signora degli uomini, e pare che, con il loro aspetto solenne e taciturno offrano a chi passa testimonianza e ricordo della grandezza passata.
Ora ti rivedo in questo suolo (le pendici del Vesuvio), tu che sei amante di luoghi tristi e abbandonati da tutti, e sempre compagna di destini infelici.
Queste distese cosparse di ceneri infeconde e ricoperte di lava solidificata, dura come la pietra, che risuona sotto i passi del viandante, dove si appiatta e si contorce al sole la serpe e dove il coniglio torna all’abituale tana sotterranea; furono (un tempo) villaggi prosperi e campagne coltivate, e biondeggiarono di spighe e risuonarono di muggiti di mandrie;
furono giardini e palazzi, ricovero gradito per i riposi dei potenti, e furono città famose, le quali il monte superbo (il Vesuvio) ricoprì dei suoi torrenti (di lava), insieme agli abitanti, lanciando fiamme dalla bocca infuocata.
Ora intorno un’unica distruzione abbraccia tutto, lì dove tu stai, o fiore nobile, e quasi commiserando le disgrazie degli altri, mandi al cielo un profumo di odore dolcissimo che consola il deserto.
Chi è solito esaltare con (le sue) lodi la nostra condizione (umana) venga in queste campagne, e veda (di persona) quanto il nostro genere (umano) è caro alla natura affettuosa (in senso ironico). E qui potrà anche valutare con giusta misura la forza della stirpe umana, che in un momento la crudele nutrice (la natura) distrugge in parte, quando meno se l’aspetta, con un leggero movimento, e può anche con movimenti poco meno leggeri annullare del tutto di colpo.
In queste pianure sono raffigurate le sorti splendide e destinate al progresso del genere umano.
La ginestra parafrasi seconda strofa (vv. 52-86)
Vieni a guardare e a verificare le tue certezze in questi luoghi, secolo superbo e stolto, che hai lasciato la via percorsa fino ad ora prima di te dal pensiero risorto (con il Rinascimento) e, volti i passi nella direzione opposta, esalti il ritorno alle dottrine del passato e lo definisci progresso.
Tutti i dotti nati per loro sventura in questo secolo, adulano il tuo infantile modo di ragionare, benché talvolta nel loro intimo ti deridano. Ma io non scenderò nella tomba con una vergogna simile, anzi piuttosto mostrerò nel modo più evidente il disprezzo che nei tuoi confronti nutro dal profondo dell’animo, benché sappia che è condannato all’oblio chi vuol troppo dispiacere ai suoi contemporanei, avversandoli.
Di questo oblio, che avrò in comune con te, o secolo mio, fin da ora mi beffo.
Elabori progetti di libertà politica e civile e nel contempo vuoi di nuovo rendere schiavo (di dogmi irrazionali) quel pensiero (il razionalismo settecentesco) in virtù del quale soltanto risorgemmo in parte dalla barbarie medievale e in nome del quale soltanto si avanza sulla strada della civiltà, che sola rende migliore il destino della società.
Così non avesti il coraggio di accettare le verità (a cui era giunto il pensiero moderno), ossia che la natura ci ha assegnato una condizione dolorosa e infima.
Per questo volgesti vigliaccamente le spalle a quel pansiero filosofico (l’Illuminismo) che rese evidenti queste verità: e, mentre fuggi (ritornando all’oscurantismo medievale), definisci vile chi segue queste dottrine (illuministiche) e, viceversa, chiami coraggioso colui che prendendo in giro se stesso o gli altri innalza, esaltandola, la condizione umana fino al cielo.
La ginestra parafrasi terza strofa (vv. 87-157)
Un uomo di umile condizione e malato, che abbia grandezza d’animo e nobili sentimenti, non si vanta né si illude di essere ricco o forte e non ostenta ridicolmente una vita splendida o un fisico in piena salute fra la gente; ma senza vergognarsene non nasconde di essere debole e povero e si dichiara tale apertamente e giudica la sua condizione secondo quello che è in realtà.
Non considero saggio e coraggioso ma stolto quell’essere vivente che, benché destinato a morire e cresciuto in mezzo ai dolori, dichiara di essere stato creato per provare piacere e riempie i suoi scritti di nauseante orgoglio, promettendo destini meravigliosi e straordinarie felicità, ignoti non solo alla terra ma anche al cielo, a popoli che un maremoto, una pestilenza, un terremoto possono distruggere in modo che a stento ne rimane il ricordo.
Considero indole nobile quella di colui che ha il coraggio di sollevare i suoi occhi mortali per guardare in faccia il destino comune degli uomini e che con franchezza, senza finzioni, riconosce la sorte dolorosa e l’insignificante e fragile condizione che ci furono assegnate; nobile natura è quella di colui che si mostra grande e forte nel soffrire, che non ritiene responsabile delle sue sciagure gli altri uomini, aggiungendo in questo modo alle sue miserie odio e ira tra fratelli, ossia un male ancora peggiore, ma attribuisce la colpa a colei che è la vera colpevole, che è madre degli uomini, ma, per il suo atteggiamento verso di loro, è da considerarsi alla stregua di una matrigna.
L’uomo nobile considera la natura una nemica, pensando, come del resto è, che la società umana si sia unita e organizzata all’origine per combattere la natura e considera alleati fra loro tutti gli uomini, e abbraccia tutti con vero amore, prestando valido e sollecito aiuto negli alterni pericoli e nelle difficoltà della guerra comune. L’uomo nobile è quello che ritiene azione sciocca ed empia armare la propria mano per offendere altri uomini e ostacolare i propri vicini, così come sarebbe stolto in un accampamento assediato dal nemico nel momento in cui gli attacchi sono più violenti, dimenticandosi del nemico, iniziare crudeli lotte e seminare panico tra i propri compagni.
Quando questi principi saranno evidenti al popolo, affermandosi pienamente, come lo furono agli inizi dell’umanità, e quando quella paura dei pericoli naturali, che all’origine spinse gli uomini a stringersi in società contro la crudele natura, sarà ripristinata da una filosofia fondata sul vero, allora l’onestà e la rettitudine nella convivenza civile, il senso della giustizia e la pietà avranno ben altro fondamento che non fantasie superbe, sulle quali l’onestà umana si regge precariamente, come tutto ciò che si fonda sull’errore.
La ginestra parafrasi quarta strofa (vv. 158-201)
Spesso di notte siedo in questi campi desolati (le pendici del Vesuvio) che il corso indurito della lava ricopre di nero, e sembra ondeggiare; e sul triste paesaggio vedo dall’alto scintillare le stelle, nel cielo limpidissimo, alle quali in lontananza fa da specchio il mare, e vedo intorno il mondo intero brillare di luci attraverso l’aria sgombra.
E dopo che fisso gli occhi su quelle luci (le stelle), che agli occhi sembrano un punto, e invece sono immense, così che la terra e il mare sono veramente un punto rispetto a loro; alle stelle è del tutto sconosciuto non soltanto l’uomo, ma anche questo pianeta (la Terra) sul quale l’uomo non è nulla; e quando contemplo quei per così dire nodi di stelle (le nebulose) ancor più infinitamente lontane, che a noi sembrano nebbia, a cui non solo l’uomo e non solo la terra, ma tutte insieme le stelle della nostra galassia, infinite nel numero e nella grandezza, compreso il sole dalla luce dorata, o sono ignote, o appaiono come essi appaiono alla terra, un punto di luce nebbiosa; che cosa appari allora al mio pensiero, o genere umano? E ripensando al tuo stato infelice quaggiù sulla terra, di cui è testimonianza il suolo che io calpesto; e ripensando poi d’altra parte che tu ti credi assegnata all’universo quale padrona e scopo, e ripensando a quante volte ti sei compiaciuta immaginando che gli dei, creatori dell’universo, siano scesi in questo oscuro granello di sabbia che ha nome terra per prendersi cura di te ed abbiano conversato piacevolmente insieme agli uomini, e (ricordando) che persino il secolo attuale (il XIX), che pare di tanto superiore alle età precedenti per conoscenze e grado di civiltà, col restaurare le credenze religiose schernite (nel Settecento dell’Illuminismo), insulta coloro che conservano un po’ di saggezza; quale sentimenti allora o quale riflessione mi assale l’animo nei tuoi confronti, o infelice genere umano? Non so se prevale il riso (per la stoltezza presuntuosa dei tuoi errori) o la pietà (per l’infelicità che ti induce a crearti tali inganni).
La ginestra parafrasi quinta strofa (vv. 202-236)
Come un piccolo frutto, nel cadere da un albero, che il semplice processo di maturazione fa precipitare a terra in autunno inoltrato, senza l’intervento di alcuna altra forza, e schiaccia, annienta e sommerge in un attimo gli amati nidi scavati (dalle formiche) con grande fatica nella terra molle e (distrugge) il lavoro e le provviste che i laboriosi insetti avevano accumulato con previdenza, a gara durante l’estate; allo stesso modo le tenebre (provocate dall’oscuramento del cielo) ed una valanga di ceneri, pomici e pietre mescolate a rivoli di lava, piombando dall’alto, dopo essere stata scagliata verso il cielo dalle viscere rombanti del vulcano, oppure un’immensa piena di massi liquefatti, o di metalli e di sabbia infuocata, scendendo furiosa tra la vegetazione lungo il pendio della montagna devastò, distrusse e ricoperse in pochi istanti le città che il mare lambiva là sulla costa (nei versi 212-217 è descritta la distruzione di Pompei, ad opera di cenere e lapilli; nei versi 218-222 quella di Ercolano, raggiunta dalla lava): per cui su quelle (città) ora pascola la capra e nuove città sorgono dall’altra parte, a cui quelle sepolte fanno da fondamenta, e l’alto monte (il Vesuvio) quasi calpesta ai suoi piedi le mura diroccate.
La natura non nutre verso la specie umana più sollecitudine e interesse di quanto ne nutra verso le formiche, e se avviene che le stragi sono meno frequenti tra gli uomini che tra le formiche, ciò dipende solo dal fatto che la stirpe degli uomini è meno feconda.
La ginestra parafrasi sesta strofa (vv. 237-296)
Sono trascorsi mille e ottocento anni dal momento in cui le popolose città sparirono, sepolte dalla forza della lava infuocata, e il misero contadino dedito ai vigneti, che in questi campi la terra morta e bruciata nutre a stento, ancora solleva lo sguardo timoroso verso la vetta funesta (del vulcano), la quale, per nulla divenuta più mite, ancora sorge tremenda, ancora minaccia distruzione a lui e ai suoi figli e ai loro miseri beni.
E spesso il poveretto, stando tutta la notte insonne all’aria aperta sul tetto della sua abitazione rustica, e balzando più volte in piedi, controlla il corso della lava temuta, che si riversa dalle viscere instancabili (del vulcano) sul fianco arido (del monte), al cui riflesso brilla la costa di Capri e il porto di Napoli e Mergellina.
E se lo vede avvicinare, o se nel fondo del pozzo domestico ode per caso l’acqua bollire per il calore, sveglia i figli, sveglia in fretta la moglie, e fuggendo via con quanto possono afferrare delle loro cose, vede in lontananza la sua abitazione, e il piccolo campo, che fu per lui unico riparo contro la fame, (divenuti) preda del liquido rovente (della lava) che giunge crepitando, e inesorabile si distende per sempre sopra di essi.
Pompei, cancellata dall’eruzione torna alla luce dopo un oblio protrattosi per molti secoli, come uno scheletro sepolto che l’avidità di guadagni o un sentimento di pietà restituiscono alla luce, togliendolo dalla terra; e il visitatore (di Pompei) dalla piazza deserta, stando tra le file dei colonnati diroccati, contempla la sommità del Vesuvio biforcuto e la cima fumante che ancora minaccia le rovine sparse all’intorno.
E nell’orrore della notte che tutto nasconde, per i vuoti teatri (dell’antica Pompei), per i templi diroccati e per le case in rovina, dove il pipistrello nasconde i piccoli, corre il bagliore della lava portatrice di morte, che rosseggia di lontano nelle tenebre e colora i luoghi tutto intorno, come una fiaccola funebre che lugubre si aggiri per vuoti palazzi.
Così la natura sta immobile, sempre giovane, indifferente all’uomo, alle età che egli chiama antiche e al susseguirsi delle generazioni, o meglio, avanza anch’essa ma con un processo così lento che sembra stare immobile. Nel frattempo i regni cadono, scompaiono i popoli e i linguaggi; la natura assiste impassibile, e l’umanità rivendica a sé con arroganza il vanto dell’immortalità.
La ginestra parafrasi settima strofa (vv.297-317)
E tu, flessibile ginestra, che adorni queste campagne desolate con i tuoi cespi profumati, anche tu presto soccomberai alla crudele potenza della lava, che ritornando sui luoghi già noti stenderà il suo flutto avido sulle tue pieghevoli foreste. E tu (ginestra), senza opporre resistenza piegherai sotto il peso della lava che provoca morte il tuo capo innocente; ma mai piegato (il tuo capo) sino allora inutilmente per supplicare in modo codardo davanti alla lava che sta per sopprimerti; ma mai levato con insensata presunzione verso le stelle, né sul deserto dove, non per tua volontà ma per caso, cresci e sei nata; ma sei tanto più saggia, tanto meno insensata dell’uomo, in quanto non hai mai avuto la presunzione di ritenere che le tue fragili stirpi fossero state rese immortali ad opera del destino o tua.
Per l’analisi e il commento leggi La ginestra di Leopardi, analisi e commento.
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