Il Verismo è un movimento letterario che nasce in Italia nella seconda metà dell’Ottocento sotto l’influsso filosofico del Positivismo e subisce l’influenza del Naturalismo francese, in particolare di Emile Zola.
I maggiori esponenti del Verismo sono meridionali, perché è nel Sud che si riscontrano maggiormente quelle condizioni di arretratezza e di degrado che i veristi intendono fare oggetto della loro narrazione.
Il maggiore narratore verista è Giovanni Verga (1840-1922), ma i princìpi della poetica del Verismo sono enunciati da Luigi Capuana (1839-1915).
Il Verismo: i princìpi fondamentali
La ricostruzione del vero attraverso l’indagine dell’ambiente sociale, dei fattori economici e storici, degli influssi ereditari.
L’obiettività dello scrittore. Egli deve riprodurre le vicende dal vero, tendendo a trasformare in documento l’opera letteraria. Questa realtà sociale è soprattutto la campagna dell’Italia meridionale.
L’impersonalità del narratore. Egli non deve far percepire la propria presenza, ma lascia che a parlare siano i fatti e i personaggi e si astiene da commenti e da interventi nei quali traspaiono le sue convinzioni.
La ricerca di un linguaggio nuovo, aderente alla realtà, che riproduca le modalità espressive dei personaggi.
La descrizione dei personaggi condotta prevalentemente dall’esterno: allo scavo interiore dei sentimenti, lo scrittore verista contrappone l’attenzione alle parole, ai gesti, alla mimica.
Il tono pessimistico, che induce gli autori a sottolineare i drammi e la miseria che pur il lodato progresso porta con sé. I veristi infatti non ritengono possibile un mutamento delle condizioni di miseria in cui sono costretti a vivere contadini, operai, pescatori, esponenti di un mondo ancora arcaico, antico e primitivo, che ha le sue miserie ma anche la sua dignità.
La fine del Verismo
La stagione del Verismo si conclude nel 1894 con il romanzo I Viceré di Federico De Roberto. Già nel 1889 però Gabriele D’Annunzio pubblica il suo primo libro, Il piacere, aprendo così la fase del Decadentismo, nella quale i letterati italiani preferiranno, al “realismo sociale” di Zola o di Verga, l’indagine sulla psicologia decadente di singoli individui, ora inetti come i personaggi di Italo Svevo, ora eccezionali come gli esteti di D’Annunzio.
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