Il mercantilismo è la scuola economica che si affermò in Europa tra il Cinquecento e il Settecento.
Secondo i mercantilisti l’unico modo per aumentare la ricchezza di una nazione è garantire un saldo attivo della bilancia commerciale, ossia una differenza positiva tra il valore delle esportazioni e quello delle importazioni.
I mercantilisti suggeriscono quindi ai sovrani provvedimenti volti da un lato a incentivare le esportazioni e dall’altro a scoraggiare le importazioni.
Sulla base di queste indicazioni, per esempio, in Francia e in Inghilterra furono introdotti dazi sulle importazioni di prodotti finiti, mentre alle esportazioni si concessero premi o sussidi.
Ancora, si individuano provvedimenti volti a mantenere bassi i prezzi interni, in particolare quello del grano, che costituisce la principale fonte di alimentazione dell’epoca e per questo si riflette sul livello dei salari e da qui sul prezzo di tutti gli altri beni.
È infine regolarmentata l’attività industriale, per adeguare le caratteristiche dei prodotti finiti a ben precisi standard qualitativi, che li rendano di particolare pregio, e quindi desiderati sui mercati mondiali.
L’insieme di tali provvedimenti, secondo i mercantilisti, genera un circolo virtuoso di benessere e crescita. Il livello elevato delle esportaizoni, infatti, fa affluire moneta preziosa dall’estero. Crescono così i capitali a disposizione dei mercanti e con essi la possibilità di espandere ulteriormente l’attività economica finalizzata a produrre un quantitativo sempre maggiore di prodotti da esportare.
Il declino del mercantilismo
Intorno alla metà del Settecento il mercantilismo entrò in crisi, soprattutto a causa di un rialzo generalizzato dei prezzi, di un’eccessiva pressione fiscale e dell’opposizione contro i Paesi dominanti sorta all’interno delle colonie.
Si diffuse infatti l’opinione che questi problemi fossero in buona parte imputabili alla gestione dell’economia e la situazione di malcontento che si generò favorì correnti di pensiero in aperto contrasto con quella mercantilista.
La teoria più significativa fu quella del filosofo scozzese David Hume (1711-1776). Egli sostenne la necessità di sottrarre l’economia a una gestione guidata e di affidarla invece a un “ordine naturale”, preludendo in tal modo all’affermazione delle teorie economiche successive, quella fisiocratica e quella liberista.
Il mercantilismo moderno
Ancora oggi, alcuni economisti di ispirazione keynesiana sostengono che il maggior vincolo alla crescita economica di un’economia aperta agli scambi con il resto del mondo è costituito dalla bilancia dei pagamenti. In tale contesto le esportazioni svolgerebbero un ruolo fondamentale nel determinare la performance di crescita.