Il pessimismo manzoniano deriva dalla convinzione che la natura dell’uomo è corrotta dal peccato e che le passioni individuali contaminano l’agire umano.
Da questa convinzione deriva il pessimismo di Manzoni che lo conduce a una visione tragica della storia, che egli vede dominata dalla violenza e dal peccato.
Ma la fede conforta Alessandro Manzoni e lo induce a sperare che la Grazia illumini perennemente l’uomo, fortifichi la sua fragile natura, lo sostenga nelle difficili prove della vita.
Renzo e Lucia infatti sono vittime della violenza della storia, che si abbatte su di loro tramite il sopruso dei «potenti» (don Rodrigo, la monaca di Monza, l’Innominato); eppure la fede nella divina Provvidenza (la mano di Dio che interviene nelle vicende degli uomini) li porta a comprendere che i guai cercati (da Renzo) o subiti (da Lucia) devono essere accettati e che «la fiducia in Dio li raddolcisce e li rende utili per una vita migliore».
Animato da questa speranza, il cristiano sentirà allora sempre vicino a sé il sostegno della Provvidenza. Essa gli darà la forza di compiere in nome della propria libertà morale scelte anche difficili, rinnovando giorno per giorno la sua adesione alla legge dell’amore.
Significative in tal senso sono le parole che padre Cristoforo rivolge a Renzo e Lucia nel loro ultimo incontro nel lazzaretto: «Se Dio vi concede figlioli, abbiate in mira d’allevarli per lui, d’istillar loro l’amore di Lui e di tutti gli uomini; e allora li guiderete bene in tutto il resto… Verranno in un tristo mondo, in tristi tempi, in mezzo a superbi e a’ provocatori: dite loro che perdonino sempre, sempre! Tutto, tutto! (capitolo 36)».
Il pessimismo manzoniano si dissolve quindi nel concetto di Provvidenza, per cui anche dal male può nascere il bene e dal dolore e dalle sventure, la salvezza.