La morte di Ermengarda di Alessandro Manzoni, riassunto e analisi del Coro Atto Quarto (Sparsa le trecce morbide sull’affannoso petto…) dell’opera Adelchi.
La morte di Ermengarda riassunto
Ermengarda, ripudiata dal marito Carlo Magno, si è rifugiata nel convento di San Salvatore, a Brescia, presso la sorella Ansberga.
Spesso, nella quiete apparente di quelle giornate, le ritornano alla mente, tormentandola, le immagini del passato, soprattutto la nostalgia di Carlo e l’amore che ancora nutre verso di lui. Si illude che tutto un giorno possa tornare come prima e che il suo sposo ritorni disposto a riaccoglierla tra le sue braccia.
Giunge, però, improvvisa, la notizia che Carlo ha contratto un nuovo matrimonio; Ermengarda capisce allora che per lei non c’è più alcuna speranza.
Così, delusa come donna e come sposa, serenamente rivolge il suo pensiero a Dio e spira, mentre il poeta ne accompagna gli ultimi istanti con l’invito a liberarsi da ogni passione terrena e dai ricordi, che ancora si affollano nella sua mente.
Infatti, solo quando avrà sgombrato dal suo animo ogni legame con la terra, potrà elevarsi a Dio, purificata attraverso le sofferenze patite dalla colpa di discendere da una progenie di oppressori.
La morte di Ermengarda analisi
Il Coro, che scandisce nell’Atto IV (quarto) della tragedia Adelchi gli ultimi istanti di vita di Ermengarda, costituisce uno dei momenti più intensamente lirici di tutta la tragedia.
Offre, inoltre, al Manzoni l’occasione per una meditazione sul destino di ogni giusto, cui sulla terra non possono toccare che dolori e umiliazioni. Tale destino deve essere sempre accettato: o in espiazione di colpe non sue (come Ermengarda), o come strumento del proprio perfezionamento nella prospettiva del premio che l’attende unicamente oltre la vita.
Il Coro dell’Atto IV dell’Adelchi si sviluppa attraverso più piani espressivi: si apre sui commossi accenti lirici delle strofe iniziali, divise tra descrizione e allocuzione; passa, poi, nella parte centrale, ai toni elegiaci e fortemente mossi della rievocazione, in rapide scene, dei momenti di felicità di Ermengarda; infine, si chiude nei toni riflessivi e moraleggianti delle ultime strofe, incentrate sull’esaltazione della «provida sventura», che ha fatto di Ermengarda l’innocente vittima designata per l’espiazione delle colpe dei suoi avi.
Metro: venti strofe di sei settenari. In ogni strofa: il primo, il terzo e il quinto verso sono sdruccioli; il secondo e il quarto verso sono piani e rimano tra loro; il sesto verso, tronco, rima con il corrispondente della strofa successiva.
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