Riemergono le microscopiche impronte lasciate dal plancton milioni di anni fa nei fondali marini. Un team internazionale di paleontologi ha utilizzato una nuova tecnica per documentare la presenza di fossili anche dopo che il loro guscio è scomparso da milioni di anni. Da questa scoperta, a cui la rivista Science dedica la copertina del suo ultimo numero, vengono informazioni inedite sulla resilienza di questi organismi – fondamentali per la salute degli oceani – ai cambiamenti climatici che si sono verificati nel passato sul nostro pianeta. Lo studio, online dal 20 maggio, è stato coordinato dai ricercatori del Museo Svedese di Storia Naturale ed è firmato anche da Silvia Danise, docente dell’Università di Firenze e dai colleghi del Museo di Storia Naturale e dell’University College di Londra
“I coccolitoforidi sono organismi planctonici unicellulari di microscopiche dimensioni (15 volte più piccoli dello spessore di un capello) che abbondano negli oceani – racconta Silvia Danise, associato di Paleontologia e paleoecologia dell’Ateneo fiorentino -. Svolgono un ruolo essenziale negli ecosistemi marini: forniscono la gran parte dell’ossigeno che respiriamo, sono alla base delle catene alimentari marine e contribuiscono a immagazzinare il carbonio nei sedimenti del fondo oceanico. Dopo la morte dei coccolitoforidi – prosegue la ricercatrice – l’esoscheletro formato da placche di carbonato di calcio si deposita in grandi quantità nei fondali marini, fossilizzandosi. Così noi paleontologi ne possiamo studiare caratteristiche ed evoluzione estraendoli dalle rocce”.
Le evidenze a disposizione della comunità scientifica fino a oggi documentavano un calo nella presenza di coccolitoforidi fossili in corrispondenza degli eventi di riscaldamento globale del passato. Tali dati suggerivano che i cambiamenti climatici e la conseguente acidificazione degli oceani avessero gravemente condizionato lo sviluppo di questo plancton negli intervalli geologici presi in considerazione.
“Nonostante l’assenza delle placche dei coccolitoforidi nelle rocce studiate, abbiamo scoperto che la loro presenza è testimoniata dalle impronte che hanno lasciato sulla superficie di polline e altre sostanze organiche fossilizzate nei fondali marini. Tali impronte – spiega Danise – simili a quelle che lasciamo quando camminiamo sul bagnasciuga, testimoniano che anche durante intervalli di riscaldamento globale del passato, i coccolitoforidi proliferavano negli oceani”.
La scoperta delle tracce “fantasma” è stato l’inaspettato risultato di un’analisi condotta con potenti microscopi elettronici a scansione su campioni di rocce provenienti dal Regno Unito, Germania, Giappone e Nuova Zelanda che ha permesso ai ricercatori di documentare una consistente presenza di coccolitoforidi anche in corrispondenza di tre eventi di riscaldamento globale del pianeta che hanno avuto luogo milioni di anni fa, nel Giurassico e nel Cretaceo.
“Il nostro studio da una parte mette a disposizione dei paleontologi la descrizione di una peculiare forma di fossilizzazione che sarà utile in futuro per studiare quegli intervalli geologici in cui mancano i reperti originali – conclude la ricercatrice –; dall’altra ci aiuta a comprendere la reazione ai cambiamenti climatici del passato del nanoplancton, che potrebbe essere più resistente a fasi di riscaldamento rispetto a quanto prima ipotizzato”.