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Rivoluzione culturale cinese: cause e conseguenze

La Rivoluzione culturale cinese, nota anche come Grande rivoluzione culturale proletaria o semplicemente Rivoluzione culturale, fu una reazione al fallimento delle misure economiche imposte dal leader comunista Mao Zedong (1893-1976), chiamato dal popolo cinese il “Grande timoniere”.

Rivoluzione culturale di Mao le cause

Alla fine degli anni Cinquanta Mao promosse una riforma economica chiamata Grande Balzo in Avanti (1958-1961). La riforma introdusse in Cina tecniche moderne per potenziare l’agricoltura. Inoltre Mao cercò di accelerare lo sviluppo industriale. Spostò quindi milioni di contadini dai campi alle fabbriche d’acciaio. Ma i contadini cinesi non avevano l’esperienza necessaria per lavorare in fabbrica, mentre le nuove tecniche agricole si rivelarono inefficaci. Il risultato allora fu che la produzione agricola crollò, provocando una terribile carestia, che portò alla morte per fame di quasi 30 milioni di persone tra il 1958 e il 1962.

Per riaffermare il proprio ruolo di leader all’interno del Partito Comunista Cinese (PCC) contro critiche e oppositori, Mao lanciò, durante il suo ultimo decennio di potere (1966-1976), la “rivoluzione culturale”: incitò le nuove generazioni cinesi a ribellarsi contro i “quattro vecchi” (vecchie correnti di pensiero; vecchia cultura; vecchie abitudini; vecchie tradizioni), perché mettevano a rischio la trasformazione della Cina in Paese socialista.

Nell’agosto del 1966, assicuratosi il sostegno dell’Esercito popolare di liberazone (EPL) guidato da Lin Biao (1908-1971), Mao inaugurò la fase aperta della rivoluzione attraverso un manifesto redatto da lui stesso (Bombardare il quartiere generale) e manifestazioni. Gruppi di giovani studenti e soldati noti come “Guardie rosse” istituirono in ogni luogo del Paese processi pubblici contro intellettuali, politici e insegnanti, con lo scopo di eliminare privilegi e differenze di classe. Bastava essere indicati come “nemici della rivoluzione” per essere uccisi o internati nei laogai, i campi di “rieducazione attraverso il lavoro”.

Il risultato fu la diffusione del caos più assoluto, del terrore e della violenza, spesso inaudita, tra connazionali. Lo scoppio della guerra civile fu evitato con i Comitati rivoluzionari (settembre 1968), con il ridimensionamento delle Guardie Rosse e al ruolo svolto dall’Esercito popolare di liberazione (EPL), che riprese il controllo di Pechino, Shanghai e dei maggiori centri della Cina.

La rivoluzione culturale si concluse ufficialmente nel 1976 con la morte di Mao, il “Grande Timoniere”. Ancora oggi rappresenta una delle pagine più buie della storia della Repubblica Popolare Cinese e rimane un tema quasi proibito nell’ambito della ricerca e del dibattito pubblico cinese.

La Cina non è ancora un Paese democratico: non ha ripristinato le libertà politiche, mantiene la pena di morte e la tortura; perseguita i dissidenti e le minoranze etniche e religiose.

 

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