Pirro fu il re dell’Epiro, una regione dell’attuale Albania, tra il 306 e il 300 a.C. e poi tra il 298 e il 272 a.C. Era un uomo colto e intelligente, proveniva da stirpe nobile, quella degli Eacidi, che si dichiaravano discendenti di Achille e di Alessandro Magno. È ricordato come uno dei più brillanti capi militari del suo tempo, definito da Annibale stesso come il secondo più grande, dopo Alessandro Magno.
Nel 282 a.C., senza indugi, Pirro, impegnato in una politica espansionistica verso Occidente, accettò la richiesta di aiuto della colonia greca di Taranto, accorrendo con 25 mila uomini e 20 elefanti; furono proprio gli elefanti, che i Romani non avevano mai visto, a determinare un iniziale successo. Affrontò i Romani prima a Eraclea, in Basilicata, nel 280 a.C. e l’anno successivo, nel 279 a.C. ad Ascoli Satriano, in Puglia. Entrambe furono però quelle che oggi si direbbero vittorie di Pirro (una locuzione originata proprio da queste vicende), perché entrambe le vittorie furono guadagnate a costo di perdite spaventose.
L’esercito di Pirro, impegnato successivamente nella campagna di Sicilia con il sogno di instaurare un regno italico-greco in grado di affrontare le due potenze dell’epoca (Roma e Cartagine), fu affrontato e annientato nel 275 a.C. a Maleventum, che i Romani dopo la battaglia ribattezzarono Beneventum (oggi Benevento, in Campania).
Pirro, rientrato fortunosamente in patria, fu ucciso tre anni dopo in una confusa battaglia ad Argo, in modo assurdo: un soldato lo colpì, dopo che una vecchia gli aveva tirato in testa una tegola, distraendolo.
Dopo il ritiro di Pirro, le città della Magna Grecia rimasero senza difese: Taranto si arrese e le altre colonie greche caddero. I Romani avevano ormai conquistato tutta l’Italia centro-meridionale, da Rimini allo Stretto di Messina.