La Tabula rasa era la tavoletta ricoperta da un sottilissimo strato di cera usata dagli antichi Romani per scrivere; si poteva raschiare, rendendo liscio e regolare (per questo “rasa”), cancellando così tutto quello che era stato scritto prima e riutilizzare, perché la cera veniva pareggiata con una spatola, per scriverci sopra di nuovo.
Si trattava di una tavoletta di legno (tabula) provvista di un incavo che veniva riempito di cera e costituiva una superficie su cui si poteva scrivere incidendo con un bastoncino (stilus o graphium) appuntito di osso o di metallo. Per cancellare si utilizzava il retro del bastoncino costituito da una piccola spatola.
Il termine oggi è utilizzato anche in senso metaforico: chi è una tabula rasa non sa, non è preparato in un dato campo o anche ha la testa completamente vuota; si indica quindi una persona del tutto priva di idee o di conoscenze. Invece l’espressione fare tabula rasa significa “cancellare”, “azzerare” una situazione, per poi ricominciare da capo (l’espressione equivalente è “fare piazza pulita”).
Pare che la locuzione derivi dal linguaggio filosofico: secondo il filosofo greco Aristotele (384-322 a.C.) lo spirito o la conoscenza dell’uomo sono immaginati come una tabula rasa (cioè simile a un foglio bianco) sulla quale le sensazioni e le conoscenze man mano lasciano il loro segno, attraverso l’esperienza e l’apprendimento.
L’espressione è usata anche nel diritto internazionale. Il principio della tabula rasa afferma che uno Stato che si sostituisca nel governo del territorio di un altro Stato, nel caso di formazione di uno o più nuovi Stati, non è vincolato dai trattati e accordi che furono conclusi dallo Stato predecessore.