La tassa sulla barba fu lo strano provvedimento che lo zar di Russia Pietro il Grande (1672-1725) adottò il 5 settembre 1698, in virtù del quale vennero obbligati a pagare una forte tassa tutti coloro che portavano la barba lunga.
Questo provvedimento rientrava in una nuova visione dello zar che desiderava occidentalizzare la Russia. La barba veniva infatti associata ai barbari.
Come ricevuta di avvenuto pagamento, veniva consegnato un gettone di metallo che valeva un anno. In caso di mancato pagamento, un pubblico funzionario provvedeva a tagliarla immediatamente.
La perfidia del tributo stava nel fatto che il precetto ortodosso proibiva il taglio della barba, secondo il credo che chi non la portava faceva un affronto a Dio, poiché era un ornamento portato dai profeti, dagli apostoli e da Gesù stesso.
L’importo della tassa era di 100 rubli per i ricchi mercanti, 60 per i cortigiani e i funzionari pubblici, 30 per gli abitanti delle città, 10 tutti gli altri. Erano esclusi dal pagamento della tassa i sacerdoti e i contadini che vivevano nella periferia dell’impero, ma erano però costretti a pagare una tassa per entrare a Mosca.
Gli introiti di questa tassa assai bizzarra probabilmente aiutarono lo zar Pietro il Grande a fondare la città di San Pietroburgo.
La tassa rimase in vigore per oltre 70 anni; fu abolita dall’imperatrice di Russia Caterina II la Grande, nel 1772.
La tassa sulla barba in Italia
Una tassa del genere fu introdotta anche in Italia, precisamente in Sicilia. Dopo l’Unità d’Italia venne infatti consentito solo a nobili e galantuomini di portare la barba e i baffi, su modello del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II di Savoia. Dietro questa decisione c’era una ragione di ordine pubblico. Era più facile infatti catturare i briganti se avevano il volto scoperto e rasato.