Il canto 11 del Purgatorio di Dante Alighieri si svolge nella prima cornice dove espiano le anime dei superbi. Essi procedono curvi sotto pesanti macigni di diversa dimensione. Recitano il Padre nostro meditando su esempi di umiltà raffigurati nei bassorilievi incisi alla base della parete e su esempi di superbia punita raffigurati per terra.
Qual è il tema centrale del canto XI Purgatorio?
Il tema centrale del canto 11 Purgatorio è il tema della superbia e della vanità della fama terrena. Il compito di sviluppare questo tema è affidato allo spirito di Oderisi da Gubbio, artista miniatore di grande fama ai suoi tempi.
A lui è affidato pure il compito di presentare in chiusura di canto la figura di Provenzano Salvani, esempio anche di forza d’animo e di spirito d’amicizia. Ed è sempre Oderisi da Gubbio che profetizza oscuramente a Dante la futura gloria poetica e il futuro esilio.
Cosa succede nel canto 11 Purgatorio?
I superbi recitano il Padre nostro vv. 1-36
Il canto si apre con una parafrasi del Padre nostro, recitato dai superbi per loro stessi e per i vivi. La preghiera è intonata dai superbi per contrappasso: si tratta infatti di un’invocazione umile e dimessa. Le anime dei superbi, pregando, camminano sotto il peso di un macigno, che ne schiaccia la testa un tempo orgogliosamente alta. Dante sottolinea che sulla Terra si dovrebbe ricambiare la preghiera di quelle anime permettendo loro di arrivare prima alla purificazione.
L’incontro con Omberto Aldobrandeschi vv. 37-72
Virgilio, augurando alle anime dei superbi di volare presto in Paradiso, domanda quale sia la strada più breve per giungere alla seconda cornice, perché Dante è stanco, appesantito dal corpo che ancora ha. Gli risponde uno spirito, che li invita a procedere verso destra insieme a loro. Egli si presenta: è Omberto Aldobrandeschi, signore maremmano, che sconta la superbia per le sue origini nobiliari; essa lo spinse a un tale altezzoso spregio degli altri da essere ucciso per questo dai Senesi. Insieme a lui sono puniti per lo stesso vizio molti altri componenti della famiglia. Infine, con umiltà, riconosce la giustizia della sua pena che compensa il debito contratto sulla Terra con Dio.
L’incontro con Oderisi da Gubbio vv. 73-108
Mentre Dante ascoltando il racconto di Omberto, si china per vederlo meglio, un altro spirito lo scorge, lo riconosce e gli si rivolge chiamandolo “frate”, ovvero fratello, a indicare il fatto che tutti gli uomini sono figli di uno stesso padre.
Si tratta di Oderisi da Gubbio, celebre miniatore umbro (XIII secolo). Egli sa che la sua fama è ormai stata superata da quella di Franco Bolognese e si rammarica di non averne riconosciuto il merito in vita, accecato dal desiderio di gloria e di eccellenza. Per sua fortuna, si è pentito quando era ancora in vita: per questo si trova già in Purgatorio e non nell’Antipurgatorio, come sarebbe stato se si fosse pentito solo in fin di vita. Poi Oderisi si lamenta di quanto sia vana la gloria raggiunta sulla Terra, perché la fama è di breve durata come il colore verde in una foglia (simbolo di fragilità e di caducità). Se la fama dura più a lungo è solo perché a volte a un’età di splendore ne succede una mediocre.
Come esempio di transitorietà della fama Oderisi cita Cimabue, in pittura, superato dal suo allievo Giotto, e in poesia, Guido Guinizzelli (che Dante incontrerà nel canto XXVI Purgatorio), superato da Guido Cavalcanti; entrambi sono poi destinati ad essere superati, alludendo a Dante stesso. La fama terrena è come il vento: prima soffia da una parte poi dall’altra, secondo i cambiamenti dei gusti e della situazione politica e sociale.
Oderisi da Gubbio presenta lo spirito di Provenzano Salvani vv. 109-142
Come sempio della caducità della fama, Oderisi da Gubbio indica l’anima che procede davanti a lui. Si tratta di Provenzano Salvani, un tempo notissimo per aver guidato la vittoria dei senesi contro i fiorentini nella battaglia di Montaperti, ma ormai è ricordato a stento solo nella sua città, Siena.
Dante chiede come mai quest’anima sia già qui nel Purgatorio vero e proprio, malgrado l’arroganza, protratta per tutto il corso della vita. Oderisi narra allora che Provenzano cominciò a espiare in vita la sua superbia, umiliandosi a mendicare per liberare dalla prigione un amico prigioniero di Carlo d’Angiò.
Oderisi conclude il colloquio con una profezia: non passerà molto tempo e Dante stesso proverà, per propria dolorosa esperienza, che cosa significi stendere la mano per chiedere aiuto.