La pietas di Enea, eroe troiano fuggito da Troia in fiamme, non corrisponde al significato attuale di pietà, di misericordia, ma è un valore e insieme un sentimento specifico della cultura romana: è da intendersi come devozione religiosa, rispetto delle norme che regolano i rapporti con gli uomini e con gli dei, sentimento d’amore e di lealtà verso i valori tradizionali quali la famiglia, la patria, la religione. È l’estremo senso del dovere, che lo porta a sacrificare la propria esistenza per il bene collettivo e a obbedire al destino.
Il motivo della pietas è evidente in tutto l’agire di Enea. È la pietas che salva Enea e la stirpe romana che fonderà, diventando, attraverso il figlio Ascanio/Iulo, il progenitore leggendario e di stirpe divina (Enea è figlio della dea Venere e di Anchise) della gens Iulia (quella di Cesare e di Augusto).
La pietas è la qualità specifica di Enea al punto che l’epiteto che lo contraddistingue e che lo accompagna nel corso dell’intera Eneide è pius.
Perché Enea è definito pius?
Enea è detto pius, cioè “pio”, non perché fosse misericordioso, ma perché era devoto verso gli dèi, ciecamente fiducioso nelle profezie, nel Destino e perfettamente allineato ai valori di rispetto dell’unità familiare.
Un episodio molto celebre, raccontato nel secondo libro dell’Eneide, è quello di Enea che fugge in mezzo alle fiamme con il vecchio padre Anchise sulle spalle e con il figlioletto Ascanio per la mano, portando inoltre con sé i Penati, divinità protettrici; anche il viaggio di Enea negli Inferi (Eneide libro VI) su esplicita richiesta del padre Anchise è una dimostrazione eloquente della sua devozione filiale.
La pietas porta Enea a obbedire sempre agli dèi e al Fato anche quando ciò gli procura dolore e sofferenza. Ad esempio, l’amore per Didone è accantonato di fronte alla necessità di raggiungere la terra che il Destino ha preparato per lui e la sua gente, per la gloria di un grande impero futuro (Eneide Libro IV).