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Matteo Ricci missionario gesuita

Matteo Ricci missionario gesuita marchigiano è stato il primo uomo ad avviare relazioni culturali tra l’Europa e la Cina nel XVI secolo, anche grazie alla sua perfetta padronanza della lingua cinese. Assieme all’altro italiano Marco Polo, sono gli unici due stranieri ospitati al Millenium Center di Pechino, nella galleria dei ritratti delle personalità più rilevanti della millenaria storia cinese. Il Milione di Marco Polo ha fatto conoscere la Cina agli occidentali, mentre Matteo Ricci ha aiutato i cinesi ad aprire i propri orizzonti e a fargli capire l’Occidente.

Matteo Ricci missionario gesuita – la vita

Dalla nascita al 1582

Matteo Ricci nacque a Macerata (Marche) il 6 ottobre 1552. Il padre, Giovanni Battista, era uno speziale discendente da una famiglia patrizia rispettata in città. Nel 1561 inviò Matteo a studiare nel collegio dei Gesuiti appena fondato a Macerata.

Nel 1568 Matteo si trasferì a Roma e cominciò a studiare giurisprudenza alla Sapienza. Dati i legami con gli ambienti dei Gesuiti in cui si era formato, entrò nella Compagnia di Gesù come novizio. Il responsabile dei novizi era Alessandro Valignano, ben presto nominato responsabile delle missioni nelle Indie orientali. In questi anni di formazione, Ricci si fece notare dai suoi superiori e nel 1577 fu scelto dal Generale dell’Ordine per entrare a far parte della missione gesuita in India. Ricci aveva 24 anni quando prese la via del mare per cominciare il suo percorso da missionario.

Dopo un periodo di preparazione a Coimbra, in Portogallo, la notte del 23 marzo 1578 insieme a quattordici giovani gesuiti si imbarcò dal porto di Lisbona: destinazione Goa, nell’India Occidentale. In India venne ordinato sacerdote (1580) e cominciò a insegnare nel collegio gesuita locale.

Nel 1582 venne finalmente inviato sul campo, invitato a raggiungere altri confratelli a Macao, colonia portoghese da cui organizzare l’ingresso in Cina.

La missione in Cina

Nel settembre 1583 Matteo Ricci, Michele Ruggeri (1542-1607), un gesuita già da qualche anno sul campo, un interprete cinese e i loro servitori arrivarono finalmente a Zhaoging. Rasati e con addosso gli abiti tipici dei monaci buddisti, si presentavano come religiosi provenienti dall’India, servitori del «Signore del Cielo».

Il mandarino Wang Pan ricorse ai gesuiti inizialmente sperando di ottenere da loro la grazia di un erede maschio, inutilmente cercato per trent’anni con sua moglie e due concubine. Quando entro un anno dall’arrivo dei gesuiti l’erede arrivò, la fama del dio degli stranieri si diffuse e molti iniziarono a venerare l’icona della Madonna col Bambino della cappella gesuita, probabilmente sovrapponendola alla divinità femminile della fertilità Guanyn.

Da questo episodio, Matteo Ricci riuscì a farsi strada in Cina; negli anni successivi venne distribuito il primo catechismo cattolico in cinese scritto da Ruggeri, elemento fondamentale per l’evangelizzazione. Eppure, nonostante gli sforzi di Ricci e dei suoi per affermare l’unicità del proprio dio, i cinesi continuarono a considerarli parte di una nuova scuola del buddismo. E non a caso i primi a convertirsi furono dei ferventi buddisti.

Nel 1589 Ricci si spostò a Chaouzhou. Superate le prime ostilità, la comunità qui fondata crebbe, anche grazie al cambio di strategia adottato ora da Ricci, che smise di presentarsi come un monaco buddista. Ora portava una lunga barba, prese nome cinese (Li Ma Tou, dove Li sta per l’iniziale del cognome Ri, e Ma Tou come suono più vicino a “Matteo”) e si muoveva su una portantina portata dai suoi servitori.

I cinesi cominciarono a riferirsi a lui come a un yren, un “uomo straordinario”, sorta di maestro di arti esoteriche più vicino ai letterati confuciani o ai sacerdoti taoisti che ai monaci buddisti. Matteo Ricci aveva capito che per ottenere credito presso le élite bisognava presentarsi come letterati, sapienti, moralisti. Anche per questo, partendo dallo studio dei classici confuciani, elaborò un nuovo testo di propaganda molto diverso da un classico catechismo, Il vero significato del Signore del Cielo (1603). Non tutti i cinesi capirono però di avere a che fare con una nuova religione. Del resto, Ricci consigliava ai suoi di non procedere a conversioni di massa; bisognava invece catturare l’interesse dei mandarini e dei letterati e arrivare sempre più vicino al centro del potere, a Pechino.

Quando nel 1595 si trasferì a Nanchang (circa 1460 km da Pechino), Ricci era ormai ben inserito negli ambienti della buona società Ming e poté finalmente raggiungere le due capitali, Nanchino e Pechino (1598-99).

Alla corte dell’imperatore

Stabile alla corte dell’imperatore Wanli della dinastia Ming dal 1601, Ricci ottenne il permesso di fondare una comunità che contava i primi convertiti e che si è mantenuta in attività fino a oggi.

Matteo Ricci morì a Pechino l’11 maggio 1610, a 58 anni. Perfino il funerale fu un segno del suo successo: l’imperatore concesse ai gesuiti di seppellirlo fuori dalle mura di Pechino, in un terreno confiscato a un’alta personalità buddista. Fu il primo straniero a guadagnarsi quest’onore.

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