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Il cicisbeo nella società italiana del Settecento

Il cicisbeo, detto anche cavalier servente, era un gentiluomo (senza fortuna economica) che accompagnava una nobildonna sposata nelle occasioni mondane (feste, visite di cortesia, spettacoli teatrali), l’assisteva e le faceva compagnia nelle faccende di tutti i giorni (nella toilette, nella scelta dell’abbigliamento, nella gestione della corrispondenza).

L’usanza del cavalier servente aveva fatto la sua apparizione nelle famiglie nobili verso la fine del Seicento e si era poi diffusa in tutti i centri urbani, ma specialmente in quelli delle regioni centro-settentrionali.

All’inizio i cicisbei avevano una precisa funzione: tutelare l’onore delle donne sposate e permettere loro di frequentare la società anche in assenza dei mariti. La sua presenza poteva essere addirittura prevista nei contratti matrimoniali. Non dobbiamo dimenticare infatti che nel Settecento (come nei secoli precedenti) i “matrimoni d’amore” erano piuttosto l’eccezione che la norma, specie nei ranghi più alti della società. Di solito, infatti, i matrimoni erano “combinati” in ambito familiare per aumentare il potere o la ricchezza familiare o per rinsaldare i sistemi di alleanza o di parentela nobiliare. La vera “passione” stava quasi sempre fuori dal matrimonio.

Il cicisbeo, ovvero il “cavalier servente”, era dunque un sostituto legittimo (e quindi socialmente accettato) del marito, e un sostituto innocuo, almeno nelle intenzioni. La sua presenza nella società del Settecento, sia tra i nobili sia tra gli alto-borghesi, era cospicua. Molte nobildonne ne avevano più di uno al loro fianco.

Non era però una presenza che piaceva a tutti. Qualcuno osservava che i rapporti tra il cicisbeo e la dama erano immorali: si temeva la giustificazione dell’adulterio, si temeva per la tenuta dell’istituzione del matrimonio tradizionale, che proprio nel Settecento fu messo in discussione, almeno tra gli intellettuali e gli aristocratici: Vittorio Alfieri (1749-1803), che da giovane era stato “cavalier servente” della marchesa Gabriella Falletti Turinetti, conviveva con la contessa di Albany senza averla sposata; e lo stesso faceva Giulia Beccaria (figlia del celebre Cesare Beccaria, autore Dei delitti e delle pene) con Carlo Imbonati; anche lei in gioventù aveva avuto il suo cicisbeo, Giovanni Verri, probabile padre naturale di suo figlio Alessandro Manzoni.

Una satira feroce del cicisbeismo si trova ne Il giorno (vv. 31-77 e 91-166), là dove Giuseppe Parini descrive il rapporto perverso tra il «giovin signore», che è il “cavalier servente” della dama, e il legittimo marito di lei, raffigurato come un uomo pigro e inetto, che ha delegato al cicisbeo la propria funzione di “padrone di casa”.

Il personaggio del cicisbeo si incontra anche nel teatro di Carlo Goldoni (1707-1793), per esempio ne La famiglia dell’antiquario (1749): Pantalone (simbolo del buon borghese conservatore) attribuisce ai cavalieri serventi lo sfascio della famiglia e della società.

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