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Gemma Donati, la moglie di Dante

Gemma Donati la moglie di Dante nacque a Firenze, probabilmente intorno al 1265, figlia di ser Manetto della nobile casata dei Donati, cugina di Corso, Forese e Piccarda, tre fratelli collocati dal Sommo poeta rispettivamente all’Inferno (Dante cita Corso Donati, indirettamente senza riportarne il nome, in Purgatorio canto XXIV, vv. 82-87, attraverso una profezia fatta recitare da suo fratello Forese e in cui lo destina all’Inferno), Purgatorio (canti XXIII e XXIV) e Paradiso (canto III).

I Donati sono una delle più potenti famiglie guelfe di Firenze. E anche gli Alighieri sono guelfi.

Il loro matrimonio, com’era costume del tempo, era stato concordato dalle rispettive famiglie fin dal 1277, con una dote di 200 fiorini piccoli: all’epoca Dante (1265-1321) aveva 12 anni. Si ignora la data delle nozze, avvenute comunque dopo la morte di Beatrice (1290).

È certo che al momento dell’esilio Dante aveva avuto da Gemma quattro figli: Giovanni, Pietro, Iacopo e Antonia, la quale si fece suora in un convento di Ravenna, con il nome di Beatrice.

Si dice che dopo l’esilio di Dante i due non si siano più incontrati. È certo invece che Dante non nomina mai sua moglie Gemma Donati nei suo scritti (al contrario di Beatrice).

È però possibile, come di recente si è suppposto, che alla moglie Gemma il poeta Dante alluda celatamente, e affettuosamente, in due dialoghi della Divina Commedia: in Purgatorio canto XXIII, vv. 85-93, dove Dante istituirebbe un coperto parallelismo tra Gemma e Nella, sposa di Forese Donati, soprattutto laddove quest’ultimo, vv. 91-93, afferma: «Tanto è a Dio più cara e più diletta / la vedovella mia, che molto amai, / quanto in bene operare è più soletta; e in Paradiso canto XVII, vv. 55-57 dove le parole di Cacciaguida: «tu lascerai ogne cosa diletta / più caramente; e questo è quello strale / che l’arco de lo essilio pria saetta» dovrebbero riferirsi anche alla moglie del poeta, e non solo ai figli.

Dopo la morte di Dante, Gemma intraprese un percorso giudiziario per riacquistare la dote. Muore tra gli ultimi mesi del 1342 e i primi del 1343: in un atto del 9 gennaio del ’43, infatti, Iacopo Alighieri si dichiara erede della madre.

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