Elio Vittorini nasce a Siracusa il 23 luglio 1908 e trascorre l’infanzia e l’adolescenza in Sicilia.
Nel 1924 lascia la Sicilia e si trasferisce in Friuli per motivi di lavoro. Nel 1927 sposa Rosa, la sorella del poeta Salvatore Quasimodo. Nel 1930 si stabilisce a Firenze dove si lega al gruppo di Solaria, la rivista sulla quale pubblicherà i suoi primi racconti, riuniti poi nel libro Piccola borghesia (1931). Comincia a studiare con appassionato interesse la lingua inglese, tanto che ben presto riesce a realizzare ottime traduzioni contribuendo a far conoscere in Italia la letteratura anglosassone.
Dopo una giovanile adesione al fascismo, cui aveva attribuito i caratteri di una forza positivamente innovatrice, come testimonia il suo romanzo Il garofano rosso (1948), Elio Vittorini se ne distacca definitivamente negli anni della guerra di Spagna.
Nel 1939 si trasferisce a Milano dove, pur continuando il suo lavoro di traduttore e di scrittore (esce nel 1941 Conversazione in Sicilia), comincia a collaborare con varie case editrici come organizzatore di nuove collane che svolgeranno un’importante azione di rinnovamento nell’ambito ancora chiuso e provinciale della cultura italiana.
Durante l’occupazione tedesca, Elio Vittorini partecipa attivamente alla Resistenza, riportandone poi le esperienze nel romanzo Uomini e no (1945) ambientato tra i partigiani di Milano.
Dal 1945 al 1947 Elio Vittorini dirige la rivista Il Politecnico, le cui pagine ospiteranno una vivace polemica con Palmiro Togliatti sul ruolo della letteratura, tematica che Elio Vittorini approfondirà poi in alcuni dei saggi del Diario in pubblico (1957) e nella rivista Il Menabò, da lui fondata nel 1959.
Negli anni Cinquanta e Sessanta, Elio Vittorini intensifica la sua attività di promotore culturale, scoprendo giovani autori, come Italo Calvino e Beppe Fenoglio (ma rifiuta Il Gattopardo di Tomasi di Lampedusa) e aprendo alla letteratura straniera le collane editoriali da lui dirette. È, tra l’altro, uno dei primi a interessarsi dei fumetti americani e il numero 1 di Linus (aprile 1965) si apre con un intervento di Elio Vittorini sul valore e la ricchezza concettuale delle strisce di Schulz. Poche sono invece le sue opere narrative di quel periodo che per lo più riprendono romanzi precedentemente abbozzati e interrotti, come Erica e i suoi fratelli e La garibaldina, pubblicati nel 1956, ma iniziati rispettivamente nel 1936 e nel 1949.
Elio Vittorini muore a Milano il 12 febbraio 1966. Postumi vengono pubblicati il volume di saggi e articoli Le due tensioni (1967) e il romanzo incompiuto Le città del mondo (1969).
Conversazione in Sicilia – Conversazione in Sicilia è un romanzo fortemente allegorico, apparso a puntate sulla rivista Letteratura tra il 1938 e il 1939 e pubblicato in volumi da Bompiani nel 1941.
Protagonista e io-narrante del romanzo è Silvestro Ferrauto, un tipografo siciliano che «in preda ad astratti furori», cioè angosciato da quanto avviene nel mondo – sono gli anni della guerra di Spagna – ma incapace di azioni concrete, decide di lasciare la città del Nord in cui vive per tornare nella sua terra natale.
Il viaggio è ricco di esperienze e di incontri che cominciano a smuovere Silvestro dalla sua apatia. Particolarmente significativo è l’incontro con il Gran Lombardo, figura che simboleggia un’umanità coraggiosa e forte alla ricerca di «nuovi doveri», cioè di un modo più consapevole e attivo di vivere la propria onestà.
Con l’arrivo a Neve, dove Silvestro ha vissuto da ragazzo, comincia una fase nuova della narrazione. L’incontro con la madre determina infatti nel protagonista il recupero memoriale dell’infanzia, vissuto non come nostalgica evasione nel passato ma come occasione di acquistare nuova consapevolezza del presente. Silvestro viene così a trovarsi in una particolare dimensione “due volte reale” in quanto in essa si fondono «il ricordo e l’in più di ora».
Nella terza parte del romanzo, accompagnando la madre, che si guadagna da vivere facendo iniezioni ai malati di malaria e di tisi, Silvestro viene in contatto con la miseria della Sicilia, simbolo tangibile del dolore universale dell’uomo, e sente più forte il bisogno di trovare il modo per combattere un simile stato di cose.
Silvestro elabora una teoria secondo la quale il genere umano si divide in due: «uno perseguita e uno è perseguitato; e genere umano non è tutto il genere umano, ma quello soltanto del perseguitato».
Per Elio Vittorini, sono gli “offesi”, gli ultimi della scala sociale, a essere portatori della vera virtù, e incita ogni uomo che si sente oppresso e umiliato a non essere a sua volta “oppressore” bensì a condividere le sofferenze altrui.
All’ansia di giustizia e di riscatto di Silvestro forniscono risposte diverse i personaggi che egli incontra nelle tappe successive del viaggio: l’arrotino Calogero, Ezechiele, Porfirio, Colombo, tutti portatori di un messaggio espresso in termini metaforici e allusivi.
Nell’ultima parte del romanzo, il protagonista constata amaramente che nel mondo l’ingiustizia e la sofferenza sono una realtà ineliminabile. In particolare, gli sembra che suo fratello, Liborio, morto nella guerra di Spagna, assommi in sé il dolore e la disperazione di tutti coloro che si sono sacrificati per scopi ingiusti o sono stati sacrificati a causa della volontà di potere dei loro capi.
L’implicita demistificazione della guerra patriottica continua nella scena finale del romanzo, in cui tutti i personaggi si ritrovano attorno a un monumento ai caduti, formulando ognuno un proprio commento sull’inutilità della statua e di ciò che essa rappresenta.