Euripide nasce attorno al 483 a.C, ad Atene, da padre possidente terriero e madre nobile.
Poco attratto dalla vita politica, è molto vicino al movimento sofistico. Evita le persecuzioni che costringono alla fuga Protagora e che portano al rogo l’opera di Anassagora, di cui una tradizione lo fa discepolo.
Trascorre gli ultimi anni di vita lontano da Atene per trasferirsi in Macedonia alla corte di Archelao, dove muore nel 406 a.C.
L’attività teatrale di Euripide occupa cinquant’anni, dato che iniziò nel 455 a.C.
Avrebbe composto 22 o 23 tetralogie per un totale di 88 o 92 drammi, di cui, però, sono sopravvissuti solamente 18 tragedie, di cui una, il Reso, ritenuta spuria.
La maggior parte delle opere a noi giunte è di incerta datazione.
Protagonista indiscusso del teatro di Euripide è l’uomo e il suo universo, un teatro decisamente atropocentrico quello di Euripide, diretta conseguenza del clima che si instaura ad Atene in quegli anni e che influenza i vari ambiti: la storiografia, la filosofia, la scienza medica, la politica.
Espressione di questo teatro è l’agone verbale come il momento più atteso dal pubblico: il protagonista e un suo interlocutore affrontano un problema da due punti di vista opposti e non conciliabili, gareggiando per prevalere dialetticamente l’uno sull’altro con la forza delle argomentazioni, in nome di un relativismo per il quale non v’era nulla che non fosse oppugnabile, modificabile o addirittura irreversibile nel suo contrario. Un esercizio intellettuale sottile e raffinato che stimola il pubblico, composto per la maggior parte da quella fascia della popolazione che non può permettersi le lezioni di sofistica, le cui modalità sono ricordate dall’agone e dallo spirito che lo anima.
I personaggi e le trame di Euripide sono ancora quelli del mito, ci sono ancora gli eroi dei poemi omerici e di altre saghe, ma si rivelano uomini e donne del tempo in cui vive il poeta. E non si misurano con oracoli, demoni, costrizioni, leggi scritte o non scritte, ma affrontano situazioni ordinarie, concrete, determinate da sentimenti comuni ad ogni uomo, quale l’amore, l’odio, la brama di vendetta, la reputazione che si vuole avere presso gli altri.
Euripide evita di creare caratteri fissi intorno ai quali organizzare la vicenda, ma procede al contrario, articolando l’azione e la reazione di un individuo in rapporto con la specifica situazione con cui questi si è venuto a trovare, senza i vincoli mentali dovuti alla già nota e dunque prevedibile conclusione della vicenda mitica.
La profonda conoscenza dell’animo umano da parte di Euripide e l’innata tendenza a frugare nelle pieghe più recondite di esso gli permettono di addentrarsi negli aspetti particolari e personali della nostra umanità, di portare alla luce palpiti, vibrazioni, segreti di cui ciascun individuo sarebbe gelosissimo, debolezze o passioni che nessuno vorrebbe confessare, paure e pudori da relegare nell’intimo.
Il teatro di Euripide è, perciò, definito un teatro-verità, che sconfina nello sperimentalismo e sconcerta persino lo spettatore moderno, a cui il teatro di Euripide è piuttosto vicino.
Presso i contemporanei Euripide non è particolarmente amato: le vittorie che la tradizione gli attribuisce sono solamente cinque.
Questo perché il teatro di Euripide manca di quel carattere didascalico, che è proprio del teatro greco. Motivo per cui Nietzsche afferma che è con Euripide che la tragedia muore definitivamente. Una condanna inflitta dalla sofistica e dalle assemblee dominate dai demagoghi, che Euripide ha indirettamente messo in atto. Una condanna divenuta definitiva con il catastrofico finale della guerra del Peloponneso.
La tragedia di Euripide si mostra decisamente diversa e in un certo senso irrituale rispetto ad Eschilo: è una tragedia in cui il mito viene messo in discussione e i personaggi agiscono non secondo i valori paradigmatici della tradizione, ma sono indotti da sentimenti ordinari e comuni alla gran parte degli spettatori.
E’ una tranche de vie, un frammento d’esistenza. Una caratteristica che rende il teatro di Euripide più vicino ai lettori moderni.
Presso i contemporanei ottiene l’incondizionato favore dei giovani e molte critiche, se non addirittura il rifiuto della giuria.
Eppure il contemporaneo Sofocle comprende il valore del teatro del suo rivale, insieme al quale, seppur in modo differente, trascorre la sua vita a studiare e a rappresentare sulla scena le angosce incofessate dell’uomo. Un apprezzamento espresso da Sofocle nella commemorazione in onore di Euripide il giorno dopo la sua morte.