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Ab urbe condita – opera di Tito Livio riassunto

Ab urbe condita («Dalla fondazione di Roma») è l’opera che diede fama a Tito Livio.

Quanti sono i libri di Ab urbe condita di Tito Livio?

L’opera comprendeva 142 libri, pubblicati gradualmente in gruppi di dieci (decadi) o di cinque (pentadi), spesso preceduti da prefazioni.

Livio iniziò a comporre l’opera probabilmente fra il 31 a.C. e il 27 a.C. e vi si dedicò per tutta la vita.

Contenuto dell’opera

La narrazione dei fatti partiva dalle origini leggendarie di Roma, a cominciare dal mitico arrivo di Enea (secondo quanto esposto anche nell’Eneide di Virgilio), e giungeva fino alla morte di Druso (fratello di Tiberio e figliastro di Augusto) avvenuta in Germania nel 9 a.C.

Secondo altri, invece, l’opera si concludeva con il racconto della sconfitta subita dal generale Varo nella battaglia di Teutoburgo (9 d.C.).

È però verosimile che il progetto originario di Livio, interrotto dalla sua morte (17 d.C.) dovesse comprendere 150 libri in modo da spingersi fino alla morte di Augusto (14 d.C.).

Cosa ci è rimasto dell’opera di Livio?

Dell’opera sono giunte però solo 35 libri. Grazie alle periochae (riassunti) elaborate nel corso dei secoli III e IV, siamo però a conoscenza dell’intero contenuto della monumentale opera, ad eccezione di quello dei libri 136 e 137, dei quali non ci sono giunti nemmeno le periochae.

Sono giunte:

Il giudizio dei contemporanei

Dai contemporanei l’opera Ab urbe condita fu allo stesso tempo criticata da persone influenti come l’imperatore Caligola e lo scrittore Quintiliano per mancanza di sobrietà; per dichiarazioni di parte a favore di Roma; scarsezza di documentazioni sulle fonti.

Per la ricostruzione delle vicende, Livio si basa infatti esclusivamente sulle opere degli storici precedenti, soprattutto gli annalisti romani e il greco Polibio.

L’importanza dell’opera di Livio non sta dunque nell’attendibilità storica (non si basa infatti su documenti, ma solo su fonti letterarie), bensì nell’intento morale e celebrativo: Livio denuncia la decadenza dei costumi nell’epoca a lui contemporanea ed esalta le virtù dei cittadini romani del passato che hanno reso grande Roma.

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