Alberto Moravia (Roma, 28 novembre 1907 – Roma, 26 settembre, 1990) pseudonimo di Alberto Pincherle.
Dopo un’adolescenza segnata da una lunga malattia che gli impedì di compiere studi regolari, pubblicò nel 1929 il primo romanzo Gli indifferenti.
È un’opera di coraggiosa rottura per il suo linguaggio scarno e concreto, decisamente in contrasto con la ricercatezza formale tipica della produzione letteraria del tempo, e soprattutto per il crudo realismo con cui è descritto lo squallore morale dei protagonisti. Non per niente il romanzo costò a Moravia l’ostilità del regime fascista, impegnato a propagandare un’immagine oleografica della famiglia e della società.
Negli anni Trenta, anche per evadere dal clima oppressivo instaurato dal fascismo, Alberto Moravia viaggiò a lungo, alternando l’attività di scrittore a quella di giornalista.
Nel 1941 sposò la scrittrice Elsa Morante. Poi, separatosi dalla moglie, convisse con un’altra scrittrice, Dacia Maraini.
Negli anni Cinquanta fondò la rivista «Nuovi Argomenti», alla cui redazione lavorò poi con Pier Paolo Pasolini ed Enzo Siciliano.
Dopo gli anni difficili della guerra, riprese con largo successo la sua attività di romanziere. Fra le sue opere narrative più note, oltre a Gli indifferenti (considerato un testo fondamentale della letteratura italiana del Novecento), citiamo La romana (1947); Agostino (1944); Il conformista (1951); Racconti romani (1954); La ciociara (1957); La noia (1960).
All’attività instancabile di narratore, Alberto Moravia associò anche quella di giornalista, saggista, drammaturgo, critico cinematografico.
Gli indifferenti, Alberto Moravia – la trama
La famiglia Ardengo, che si colloca socialmente nell’alta borghesia romana, sta precipitando nella rovina economica, ma Maria Grazia, una vedova non più giovane, da tempo amante di Leo Merumeci, sembra non comprendere la situazione, perdendosi in progetti assurdi e irrealizzabili: un matrimonio vantaggioso per la figlia Carla e una rapida e lucrosa carriera per il figlio Michele ancora universitario.
Con uguale inettitudine a misurarsi con la realtà, Maria Grazia non vuole riconoscere il logoramento ormai intervenuto nel suo legame con Leo. Questi, di fatto, continua a frequentare la famiglia Ardengo solo in quanto è molto attratto da Carla; progetta inoltre di accaparrarsi le proprietà che ancora restano a Maria Grazia, approfittando della situazione di bisogno in cui la donna si trova.
Carla e Michele, avvertono l’ipocrisia e la vuotezza della loro vita ma non riescono a superare l’apatia morale che li caratterizza.
Così Carla si lascia sedurre da Leo benché lucidamente consapevole della volgarità del loro rapporto e il fratello, informato da Lisa (un ex amante di Leo, ora attratta da Michele) resta sostanzialmente indifferente di fronte a questa ulteriore prova della degradazione morale della famiglia.
Tuttavia, si impone una indignazione che in realtà non riesce a provare e decide di uccidere Leo. Nel momento in cui lo affronta, però, la pistola di Michele risulta scarica, a conferma della sua totale inettitudine.
Fallito questo tentativo di rivalsa morale, la situazione si ricompone nelle forme più sordide e ipocrite: Carla, senza affetto ma solo per garantirsi una vita agiata, accetta di sposare Leo; questi, a sua volta, vede nel matrimonio soprattutto un mezzo per speculare vantaggiosamente sulle proprietà degli Ardengo. Michele, ormai ricaduto senza possibilità di riscatto nella sua profonda apatia morale, accetta uno squallido legame con Lisa e si appresta a entrare in affari con l’appoggio del cognato.