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Amiamo la guerra di Giovanni Papini

Amiamo la guerra è il titolo dell’articolo pubblicato da Giovanni Papini (1881-1956) il 1° ottobre 1914 sulla rivista Lacerba, diretta dallo stesso Papini insieme ad Ardengo Soffici.

Ne riportiamo un brano: «Finalmente è arrivato il giorno dell’ira dopo i lunghi crepuscoli della paura. Finalmente stanno pagando la decima dell’anime per la ripulitura della terra […]
È finita la siesta della vigliaccheria, della diplomazia, dell’ipocrisia, della pacioseria. I fratelli sono sempre buoni ad ammazzare i fratelli! I civili son pronti a tornar selvaggi, gli uomini non rinnegano le madri belve.
Non si contentano più dell’omicidio al minuto.
Siamo troppi. La guerra è un’operazione malthusiana. C’è un di troppo di qua e un di troppo di là che si premono. La guerra rimette in pari le partite. Fa il vuoto perché si respiri meglio. Lascia meno bocche intorno alla stessa tavola. E leva di torno un’infinità di uomini che vivevano perché erano nati; che mangiavano per vivere, che lavoravano per mangiare e maledicevano il lavoro senza il coraggio di rifiutar la vita […]
La guerra, infine, giova all’agricoltura e alla modernità. I campi di battaglia rendono, per molti anni, assai più di prima senz’altra spesa di concio. Che bei cavoli mangeranno i francesi dove s’ammucchiarono i fanti tedeschi e che grasse patate si caveranno in Galizia quest’altro anno! […]
Amiamo la guerra ed assaporiamola da buongustai finché dura. La guerra è spaventosa e tremenda e terribile e distruttrice dobbiamo amarla con tutto il nostro cuore di maschi».

Amiamo la guerra di Giovanni Papini – spiegazione

In questo articolo Giovanni Papini si schierava apertamente a favore del conflitto – la Prima guerra mondiale – presentandolo come un’occasione per rivitalizzare la società, eliminando i deboli e gli inetti. Nei toni retorici e nell’ostentato cinismo, egli interpretava una posizione largamente diffusa fra gli intellettuali italiani (futuristi, dannunziani, nazionalisti…) che contribuiranno con la loro superficiale retorica a spingere il Governo all’intervento.

L’articolo è la testimonianza di un radicale nazionalismo. Papini giunge a elogiare la guerra con argomenti provocatori, assurdi e grotteschi: selezione “malthusiana” e “darwiniana” della popolazione, campi di battaglia più fertili (perché concimati dai cadaveri), nuova voglia di creare «eccitata e ringagliardita dalla distruzione».

Sconcertanti affermazioni, che tuttavia rendono testimonianza di una follia che fu comune a molti uomini di quel tempo e che, in seguito, avrebbe generato altre aberrazioni.

I periodi sono brevi, incisivi, il lessico è crudo, provocatorio, a tratti offensivo nei confronti di coloro che si ritiene debbano essere eliminati dal mondo. Il tono è provocatorio ed esaltato, sia nell’esprimere arrogantemente il disprezzo per l’uomo comune, mediocre, sia nel celebrare enfaticamente la guerra e i «maschi», che, come «buongustai», devono assaporare e amare la guerra.

Il 22 maggio 1915 Giovanni Papini chiuse la rivista, pochi giorni prima dell’entrata in guerra, dimostrandosi pentito del suo interventismo e dichiarando di “sentirmi quasi complice, benché inerme, di quella forsennata devastazione”. Successivamente aderì al fascismo e collaborò anche al Corriere della Sera. Nel 1921 annunciò la sua conversione al cattolicesimo, pubblicando La storia di Cristo. Nel 1953 fu colto da paralisi progressiva, che lo portò alla morte l’8 luglio 1956.

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