Antonio Gramsci nasce ad Ales (Cagliari) il 22 gennaio 1891. Nel 1911, grazie a una borsa di studio, si trasferisce a Torino, dove si iscrive alla Facoltà di Lettere, senza tuttavia terminare gli studi, essendo completamente impegnato nella militanza politica tra le file del movimento socialista.
Animatore dei Consigli di fabbrica di Torino, nel 1919 fonda il settimanale di cultura “Ordine nuovo” (trasformatosi nel 1921 in quotidiano politico). L’«Ordine nuovo» (del quale i principali collaboratori accanto ad Antonio Gramsci sono Palmiro Togliatti e Umberto Terracini), si propone di promuovere attraverso «discussioni, studi e ricerche intorno ai problemi della vita nazionale e internazionale» la formazione tra le classi lavoratrici di una coscienza politica e sociale per l’instaurazione rivoluzionaria di un «ordine nuovo» nella società italiana. E in realtà concorre efficacemente all’elaborazione della dottrina marxista, incoraggia con concreti suggerimenti la lotta degli operai torinesi all’interno delle fabbriche, propone e discute temi destinati a ulteriori sviluppi (la funzione dell’intellettuale, il nuovo rapporto tra cultura e società, la polemica contro la scuola tradizionale e i modelli tradizionali di cultura).
Nel 1921, a Livorno, è tra i fondatori del nuovo Partito comunista d’Italia.
Nel 1922 Antonio Gramsci viene mandato dal partito a Mosca dove rimane per più di un anno, partecipa al quarto congresso dell’Internazionale, studia da vicino i problemi che si ponevano allo stato nato dalla rivoluzione d’ottobre. Sposa intanto Giulia Schucht da cui avrà due figli, Delio e Giuliano.
Nell’elezione dell’aprile 1924 viene eletto deputato e si rimmette con fervore e lucidità nella lotta politica contro il fascismo già al potere.
Antonio Gramsci viene arrestato l’8 novembre 1926 con l’accusa di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all’odio di classe. Viene condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione in un processo nel quale la requisitoria del pubblico ministero Michele Isgrò si conclude con una frase poi divenuta celebre: «Per vent’anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare».
In realtà, negli undici anni trascorsi in carcere, dal quale esce gravemente malato, Antonio Gramsci produce una delle opere più significative di quegli anni, i Quaderni dal carcere. La riflessione che Gramsci affida ai Quaderni vuole essere, nelle sue stesse parole, un «esercizio» contro l’inaridimento della vita carceraria ma anche una riflessione, filosofica e politica, sul funzionamento delle classi sociali e sulle specificità della vita politica nazionale.
I 33 Quaderni dal carcere, non destinati da Gramsci alla pubblicazione, vengono pubblicati postumi insieme alle sue Lettere dal carcere indirizzate ai familiari.
Antonio Gramsci muore a Roma, il 27 aprile 1937. Aveva 46 anni.
Antonio Gramsci e la via italiana al socialismo
Antonio Gramsci è uno dei rappresentanti più significativi del marxismo teorico del Novecento e il maggior stratega della via italiana al socialismo.
Il marxismo di Antonio Gramsci è definito umanistico e storicistico; l’attenzione si sposta dalla struttura alla concretezza dell’uomo: la dialettica è legge dello sviluppo storico e sociale, ma questo non significa che sia soggetta alle leggi meccaniche generali del mondo fisico. Da qui il rifiuto del determinismo storico e della convinzione marxista secondo cui il capitalismo imploderà a seguito della caduta tendenziale del saggio di profitto e la centralità della prassi: il mutamento sociale e politico avverrà solo a seguito di un atto volontaristico delle masse proletarie.
Nell’analizzare la via rivoluzionaria, Antonio Gramsci opera una distinzione tra dominio ed egemonia, definendo il primo come il potere coercitivo esercitato dalla classe politica e il secondo come direzione intellettuale e morale.
L’egemonia si esercita, perciò, attraverso la scuola, la Chiesa, i partiti, i sindacati e, in generale, gli apparati della società civile. Ecco che nuova importanza acquisisce la classe degli intellettuali, vista come l’insieme dei quadri dirigenti con il compito di elaborare e diffondere le idee-guida nei vari settori della produzione, dell’educazione, della politica ecc. Se ogni classe tende a produrre i propri intellettuali organici, connessi ai propri bisogni e alla propria mentalità, ci saranno gli intellettuali persuasori della classe dominante, indirizzati a mediare il consenso, e gli intellettuali legati al Partito comunista, gli intellettuali organici per eccellenza, in quanto, rappresentanti degli interessi e delle aspirazioni della classe lavoratrice, di cui si configura come guida politica, morale e ideale tanto che Gramsci definisce il Partito comunista come moderno Principe.
Sulla base di queste considerazioni, Antonio Gramsci individua nell’egemonia il principale obiettivo strategico di una classe in ascesa: la classe rivoluzionaria deve diventare dirigente prima ancora che dominante: la classe dominante non può essere più dirigente nel momento in cui perde la capacità di risolvere i problemi della collettività e di imporsi sul piano ideale.
Lo scontro rivoluzionario in Occidente non può essere frontale, ma deve diventare una guerra di posizione contro le «fortezze» e le «casematte» della borghesia, logorarne progressivamente a supremazia di classe, conquistando le istituzioni della società civile. La via italiana al socialismo proposta da Antonio Gramsci sarà fatta propria dal PCI di Togliatti e di Berlinguer.
Antonio Gramsci e la questione meridionale
La questione meridionale affonda le sue radici direttamente nel modo in cui è stata condotta l’unificazione italiana: l’unificazione è stata condotta dai moderati, dal momento che il Partito d’azione di impronta mazziniana e garibaldina non ha saputo farsi giacobino e, quindi, legarsi alle masse rurali e fare propria la questione agraria (la redistribuzione del latifondo ai contadini).
Se fosse scaturito dal basso il Risorgimento avrebbe indotto uno sviluppo dell’Italia in senso democratico, evitando quel blocco storico, basato sull’alleanza tra i capitalisti del Nord e i proprietari terrieri del Sud e, quindi, la sperequazione economica che il governo giustificò sempre come la necessità di sviluppare l’industria del Nord e procrastinare gli investimenti nel Meridione. Una giustificazione che Gramsci definisce falsa e dannosa agli interessi nazionali.
Ecco perché Antonio Gramsci critica il Partito socialista: ha separato le rivendicazioni operaie del Settentrione da quelle contadine del Meridione e non ha sfruttato l’enorme potenziale rivoluzionario delle masse rurali sfruttate del Sud.