Apicio, vissuto in età tiberiana, è stato un uomo straordinariamente ricco, con la passione della bella vita e della buona cucina, per la quale spendeva moltissimo. Mettendo a frutto la sua eperienza gastronomica, raccolse sotto forma di appunti numerose ricette, dalle più semplici alle più complicate, che ci illustrano i gusti dei suoi contemporanei. Tali appunti furono poi raccolti in un libro intitolato De re coquinaria (L’arte culinaria) compilato qualche secolo più tardi.
Secondo quanto ci riferisce Seneca, quando il romano Marco Gavio Apicio si rese conto di aver dato fondo a larga parte delle sue immense ricchezze, si suicidò perchè ritenne di essere ormai in miseria, essendogli rimasti “solo” dieci milioni di sesterzi!
Apicio De re coquinaria
A nome di Apicio è pervenuta una raccolta compilata nel IV secolo, Apicius Caelius de re coquinaria: si tratta di un trattato di gastronomia in dieci libri.
L’analisi linguistica dell’opera ha portato alla conclusione che essa, partita da un nucleo originario, è stata ampliata e modificata progressivamente fino al IV secolo di molte altre ricette finalizzate a tavole sempre meno eleganti e raffinate e sempre più popolari. Ristabilire il testo di partenza, quello presumibilmente composto da Apicio, non è stato e non è possibile.
Il De re coquinaria non ha alcun valore dal punto di vista letterario perché lo stile e la lingua non risultano filtrate attraverso alcun controllo e alcuna elaborazione. Molta attenzione è però dedicata alla preparazione raffinata e “spettacolare” delle ricette. La sostanza vera di ogni piatto era infatti sconvolta da contorni di prelibatezze e stranezze culinarie, cosa che ricorda molto da vicino la serie di piatti offerti da Trimalcione, protagonista del Satyricon di Petronio, ai suoi ospiti.
Il De re coquinaria costituisce tuttavia la principale fonte superstite della cucina nell’antica Roma.