Apollo del Belvedere è una copia romana del II secolo d.C. da un originale greco in bronzo eseguito tra il 330 e il 320 a.C. dallo scultore ateniese Leochares (Leocare), uno degli artisti che lavorarono al Mausoleo di Alicarnasso. La statua è in marmo ed è alta 224 centimetri.
Apollo del Belvedere perché si chiama così e dove si trova
Simbolo della bellezza ideale dell’arte greca (secondo lo storico dell’arte tedesco Johann Joachim Winckelmann, 1717-1768), l’Apollo del Belvedere è così detto perché papa Giulio II della Rovere (1503-1513) lo fece collocare nel Cortile del Belvedere ai Musei Vaticani. L’opera faceva parte della sua collezione privata, prima che egli venisse eletto papa. Qui si trova anche il gruppo scultoreo del Laocoonte.
Durante la Campagna d’Italia, il Direttorio incaricò Napoleone Bonaparte di portare in Francia un gran numero di opere d’arte appartenenti allo Stato della Chiesa. Tra esse il gruppo del Laocoonte e l’Apollo del Belvedere. Tornarono a casa nel 1816, grazie all’impegno dello scultore Antonio Canova.
Apollo del Belvedere descrizione e stile
La copia, rinvenuta ad Anzio alla fine del XV secolo, mostra il dio Apollo nell’atto di scagliare una freccia. In origine la mano sinistra reggeva l’arco, la destra invece teneva la freccia. Il peso è tutto sulla gamba destra; il piede sinistro è rimasto fortemente all’indietro e poggia a terra solo con la punta. Lo sguardo del dio è rivolto verso un punto lontano e indefinito.
Il dio Apollo indossa solo la faretra, il cui cinturone gli attraversa diagonalmente il petto, e la clamide, una sorta di mantello, che, fermato sulla spalla destra, scende dietro le spalle e si avvolge attorno al braccio sinistro.
Il sostegno a forma di tronco d’albero, cui si appoggia la statua, è stato aggiunto dai copisti di epoca romana. È decorato con foglie di alloro, pianta sacra ad Apollo, e un serpente a ricordo della vittoria del dio sul serpente Pitone.
La parte inferiore del braccio destro e la mano sinistra, mancanti al momento del ritrovamento, vennero ricostruiti da Giovanni Angelo Montorsoli, scultore e collaboratore di Michelangelo Buonarroti.