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Apologia di Socrate riassunto e analisi

Apologia di Socrate scritta probabilmente subito dopo il 396 a.C. quando Platone rientrò in Atene al termine di una serie di viaggi compiuti dopo la morte del maestro. Nell’antichità, l’apologia era il discorso di difesa pronunciato da un condannato.

Di cosa parla l’Apologia di Socrate?

Nell’Apologia di Socrate Platone riporta i discorsi che Socrate avrebbe pronunciato davanti ai giudici nei diversi momenti del processo intentato contro di lui nel 399 a.C.

Perché Platone scrive Apologia di Socrate?

Pochi anni dopo la morte di Socrate, Platone sente che egli è il solo che può riscattare la fama del suo mentore ingiustamente condannato e rendere con fedeltà ai posteri la sua immagine vera, il suo autentico messaggio etico.

All’intento celebrativo di Socrate si somma un altro obiettivo: quello di affermare l’importanza della conoscenza per lo sviluppo della vita dell’uomo, in polemica con politici, artisti, tecnici «che non sanno nulla e si danno l’aria di saper tutto».

Apologia di Socrate riassunto

Nel 399 a.C. Socrate subì un processo, per le accuse mossegli da tre facoltosi cittadini ateniesi di nome Anito, Meleto e Licone.

I capi di imputazione sono due: introdurre nuovi dèi, diversi da quelli tradizionali della città; corrompere i giovani. La pena richiesta è la morte per somministrazione di cicuta, una pianta velenosa.

Socrate non si limita a confutare punto per punto le accuse, ma ne ricostruisce puntigliosamente la storia, dimostrando che esse derivano in realtà da un odio antico degli Ateniesi verso di lui.

Questo odio risale al momento in cui l’oracolo di Delfi aveva proferito che nessuno era più sapiente di Socrate: ma solo nel senso che Socrate sapeva di non sapere e la massima sapienza per l’uomo consiste, appunto, nel sapere che non sa. Per questo Socrate si era impegnato a convincere i concittadini a prendersi cura non solo del loro corpo e dei loro beni, ma anche della loro anima, che è di gran lunga la cosa più importante. Li aveva spronati alla virtù, con domande scomode, attirandosi di conseguenza l’odio di tutti.

Confutate le accuse, Socrate ribadisce che continuerà la sua missione educatrice, anche a costo della morte. Riconosciuto poi colpevole, con lo scarto di pochi voti, invece di proporre per sé una pena ragionevole – com’era richiesto al condannato nei processi in Grecia – chiede di essere mantenuto a spese pubbliche come benefattore della città.

Platone porta più volte l’accento su questo atteggiamento di Socrate, presentandolo come il risultato della scelta consapevole di un intellettuale volto a scuotere le coscienze dei cittadini.

Ma una simile presa di posizione provoca inevitabilmente il risentimento dei giudici i quali, vedendo sfidato e quasi ridicolizzato il proprio potere, lo condannano a morte.

Socrate, ascoltata la sua condanna, proclama che non considera affatto la morte un male: Ma che cos’è la morte? E che cosa ci aspetta dopo di essa? Nell’Apologia di Socrate le alternative considerate sono due: o non esiste alcun aldilà, e in tal caso la morte sarà semplicemente un sonno senza sogni, che non avrà per noi alcuna durata; oppure ci sarà un aldilà non dissimile da quello omerico, popolato di eroi, di grandi poeti, di uomini che hanno fatto parlare di sé.

In un caso come nell’altro, la morte è più probabilmente un vantaggio che un danno. Una notte senza sogni, se è questo che ci aspetta, è molto più bella e dolce di tante altre notti, di tanti altri giorni della nostra vita. Quanto all’aldilà tradizionale, esso sarà certamente un luogo di delizie per un’anima assetata di sapere come quella di Socrate, che potrà conversare con Omero, Esiodo, Odisseo, Agamennone, Aiace e Palamede e con quanti vennero colpiti in vita da condanne inique.

I giudici di qui hanno decretato la morte di Socrate, e quindi essi vivranno, Socrate morirà. Quale però sia la sorte migliore – questo è il finale celeberrimo dell’Apologia di Socrate – è cosa ignota a tutti tranne che al dio.

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Platone, discepolo di Socrate.

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