L’apoteosi, dal greco apòtheosis, cioè “divinizzazione”, era la cerimonia con cui nell’antica Roma si elevava al rango divino un imperatore defunto, che da quel momento veniva qualificato con il termine divus (“divino”) prima del nome: per esempio, divus Augustus.
Come si veniva divinizzati?
Tale cerimonia (consecratio) prevedeva la creazione di un’immagine di cera dell’imperatore riccamente vestito e seduto, esposta in pubblico per un certo numero di giorni. Poi, l’immagine di cera veniva bruciata all’aperto su una pira funeraria, su cui veniva fatta liberare un’aquila, a simboleggiare l’ascensione al cielo dell’anima dell’imperatore, che andava a occupare un posto a fianco agli dèi.
Chi fu il primo a ricevere l’apoteosi?
Il primo a venire divinizzato fu Giulio Cesare, assassinato il 15 marzo del 44 a.C. (le Idi di marzo); dopo Cesare, anche il primo imperatore romano Augusto ebbe questo onore e poi sua moglie Livia Drusilla.
Apoteosi e il suo contrario: la damnatio memoriae
All’origine, l’apoteosi di un imperatore non era per nulla scontata. Per esempio Caligola e Nerone, considerati da molti contemporanei come tiranni e il cui regno terminò in modo violento, non furono divinizzati dopo la loro morte ma subirono, invece, la damnatio memoriae.
Con l’andar del tempo però il processo di apoteosi di un imperatore divenne sempre più frequente, anche perché era un modo con cui il principe successivo legittimava il proprio potere. Nel III secolo la qualifica di divus era attribuita anche agli imperatori viventi.
Apoteosi nel significato di oggi
Il termine è ancora oggi utilizzato in senso metaforico, soprattutto nel linguaggio giornalistico, per esaltare una persona o un avvenimento che ha riscosso un grande successo di pubblico; per esempio, si dice: «Quel concerto è stata una vera apoteosi».